mercoledì 8 aprile 2015

NUOVO LIBRO IN BIBLIOGRAFIA

IL FIORINO
di Filippo Giovannelli

La storia del fiorino attimo per attimo...
Interessante testo di saggistica medievale, ricco di informazioni e curiosità riguardo alla coniazione ed alla diffusione del a moneta più famosa del Medioevo.
In bibliografia troverete maggiori dettagli.
Un interessante trattazione riguardante il conio della più famosa moneta del Medioevo, il Fiorino d'oro. L'autore, grazie ad un'accurata ricerca bibliografica ed avvalendosi della collaborazione del Maestro Orafo fiorentino Paolo Penko, fornisce un ritratto accurato di questa celebre moneta, dalle origini fino alla sua estinzione. Il fiorino d'oro fu coniato a Firenze per la prima volta nel 1252. A quel tempo la città era ben diversa da come la vediamo oggi e la Zecca di Stato si trovava a pochi passi dall'attuale piazza della Signoria, più o meno dove oggi sorge la Loggia dei Lanzi, bagnata da un corso d'acqua che attraversava la città, lo Scheraggio. A quel tempo la Repubblica di Firenze era in piena espansione economica ed i suoi mercanti commerciavano sulle piazze più importanti d'Europa e d'Oriente. Le monete che in quel periodo circolavano in gran quantità in Toscana, come ad esempio il grosso d'argento, venivano coniate ancora negli antichi centri del potere feudale altomedievale, Lucca e Pisa. Queste erano largamente diffuse anche a Firenze, ma l'intensificarsi dei commerci attorno alla produzione di panni lana e le crescenti necessità militari sorte per garantirsi il predominio sulla Toscana, costrinsero la Repubblica a dotarsi di una moneta aurea, che rispettasse rigorosamente i criteri valutari carolingi in uso all'epoca: 1 libbra d'argento= 20 soldi = 240 denari
Il Fiorino d'oro, del peso di 3,53 grammi e costituito da oro puro a 24 carati, valeva all'origine 1 libbra d'argento e divenne ben presto la moneta più diffusa per le transazioni commerciali, considerata come punto di riferimento per la sua purezza e immutabilità del valore. Sul fronte vi era impresso il giglio araldico della Repubblica di Firenze, sormontato dalla scritta FLORENTIA, mentre sul retro vi si trovava l'effige di San Giovanni Battista, con la scritta IOANNNES B.  Definito oggi  "il dollaro dell'antichità", il Fiorino d'oro non rappresentò solo una moneta aurea, ma anche il simbolo del prestigio fiorentino. 

mercoledì 11 marzo 2015

LA CORSA ALLO SPAZIO- Episodio 3

Lo SPUTNIK -1


La risposta sovietica al Programma Spaziale Americano arrivò la notte tra il 4 ed il 5 ottobre 1957, con l'immissione in orbita, da parte dell'URSS, di un satellite artificiale denominato Sputnik-1
Passato alla storia come il primo satellite artificiale prodotto da genere umano, lo Sputnik rappresentò per molteplici versi una tappa fondamentale della frenetica corsa alla conquista dello Spazio. Nel 1948 i Sovietici avevano sentito l'esigenza di dare vita ad un proprio Programma Spaziale, contrapponendosi ai progressi ottenuti dai colleghi americani. Stiamo parlando di un periodo in cui, tra le due maggiori potenze belliche del mondo, regnava un allarmante clima di diffidenza ed ostilità, che ben presto sarebbe sfociato in un'escalation militare conosciuta oggi come "Guerra Fredda". Tale tensione internazionale si sarebbe protratta per quasi mezzo secolo, dal 1945 (termine della guerra in Europa e capitolazione della Germania), fino al 1991 (caduta del muro di Berlino a seguito della disgregazione dell'Unione Sovietica), portando i due schieramenti al limite dello scontro diretto. La contesa affondava le proprie radici nello scontro ideologico tra comunismo sovietico e capitalismo occidentale, ma le ragioni storiche del conflitto sono riconducibili alla necessità, sentita da entrambe le nazioni, di garantirsi un'ampia sfera di influenza politica globale. Durante questo lungo periodo la N.A.T.O. (coalizione di paesi occidentali schierati a favore dell'USA) ed i paesi aderenti al Patto di Varsavia (coalizione di nazioni est-europee alleate con l'URSS) si confrontarono aspramente sul fronte del progresso scientifico applicato alla disciplina bellica. In un simile contesto risulta quindi facile immaginare come la potenza di uno o dell'altro schieramento fosse misurata in base ai rispettivi progressi scientifici e tra questi la conquista dello Spazio risultava la frontiera più ambita. Per quanto riguardava gli USA, come già accennato in precedenti articoli, la sperimentazione degli aerei suborbitali X e la conseguente creazione della NASA avevano dato lo spunto per nuovi progetti sempre più ambiziosi. La barriera del suono era stata abbattuta dal Bell X-1, così come anche il limite della stratosfera era stato superato dal North American X-15. Dunque non restava altro da fare che portare il confronto oltre quella frontiera, inserendo un prototipo in orbita stabile attorno alla terra. I Sovietici, in questa fase della corsa allo spazio, si dimostrarono più efficienti degli americani, intuendo la possibilità di utilizzare un razzo vettore per immettere in orbita un satellite artificiale. Ciò era stato possibile grazie all'acquisizione di tecnologie aerospaziali tedesche, cadute in mano all'URSS alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In particolar modo lo studio dei missili balistici V-2, progettati dal celebre Werner Von Braun e con i quali i tedeschi avevano bombardato Londra, aveva dato modo agli scienziati russi di progettare un razzo capace di generare la spinta sufficiente per l'entrata in orbita. Fu così che, la notte del 4 ottobre 1957, lo Sputnik lasciò la rampa di lancio del cosmodromo di Baikonur, situato in Kazakistan, a bordo di un razzo del tipo R-7.
La notizia del fortunato esperimento fu trasmesso dalle emittenti radiofoniche sovietiche durante la nottata tra il 4-5 Ottobre, provocando stupore e sgomento in tutto il mondo. Sebbene nei paesi affini al Patto di Varsavia la questione avesse suscitato entusiasmo, in Occidente la notizia venne accolta con estrema apprensione, in quanto l'URSS aveva così dimostrato di essere più avanzata degli Stati Uniti d'America nello sviluppo dei missili balistici intercontinentali. Cosa avrebbe impedito, ora, ai Sovietici di armare gli R-7 con testate nucleari? L'Unione Sovietica era ora in grado di colpire i propri bersagli in tutto il mondo, servendosi di vettori balistici, mentre gli USA dovevano ancora fare affidamento sui bombardieri a lungo raggio Boeing B-52. L'America era stata innegabilmente battuta sul tempo e la NASA sarebbe stata capace di mettere in orbita un satellite soltanto tre mesi più tardi, il 31 Gennaio 1958, (satellite Explorer-1). Fu questo il motivo che spinse  la maggiore potenza occidente ad accelerare la ricerca in ambito aerospaziale, col pressante desiderio di colmare il divario che si era creato con i colleghi sovietici.


Lo Sputnik era un satellite estremamente rudimentale, se paragonato con i modelli odierni. Costituito da una semplice sfera pressurizzata di alluminio, del diametro di 58 cm, conteneva due apparecchi trasmittenti alimentati da batterie allo zinco-argento ed era munito di quattro antenne lunghe circa 2,5 m. La sua vita operativa fu di 21 giorni, durante i quali trasmise ininterrottamente il proprio segnale acustico, percorrendo 70.000.000 km in 1.400 orbite. Lo Sputnik bruciò durante il rientro in atmosfera il 3 Gennaio 1958. Alcuni radioamatori furono in grado di ascoltarne l'inconfondibile segnale, cosa che per quei tempi apparve sorprendente. In un mondo che sembrava essere in procinto di precipitare verso la guerra nucleare globale, quella notte una buona parte dell'umanità si sentì più unita e libera che mai. L'ultima frontiera era stata abbattuta, ma ancora molta strada doveva essere fatta, prima che l'uomo varcasse i confini dello spazio.


Interessante notare che l'evento fu celebrato dai Sovietici con la produzione propagandistica di orologi commemorativi, dei quali riporto di seguito le immagini. Nel primo, a sinisitra, si nota il quadrante con la rappresentazione del globo terrestre e la lancetta dei secondi dotata di un minuscolo pallino, raffigurante lo Sputnik. Il secondo orologio, a destra, possiede un indice dei secondi a disco (ad ore 6), raffigurante lo Sputnik che sfreccia vicino alla terra. Quando il disco dei secondi ruota, anche lo Sputnik si muove contestualmente al globo.













mercoledì 4 marzo 2015

CALENDOSTORIA - 4 Marzo

Il 4 Marzo 1152 viene eletto re dei tedeschi Federico I Hohenstaufen, detto il "Barbarossa".
Sarebbe impossibile racchiudere in poche righe la biografia di un uomo che rappresentò una delle figure di spicco del secolo XII. Fu al tempo stesso testimone, attore e fautore di molti avvenimenti epocali, che segnarono in modo indelebile la storia del cristianesimo e della penisola italiana. Ci limiteremo quindi a descriverne l'ascesa al trono ed alcuni tratti salienti del suo regno
Nato nel castello di Waiblingen nel 1122, era figlio di Federico II duca di Svevia. Sua madre, Giuditta di Baviera, era sorella del duca di Baviera e Sassonia e marchese di Toscana Enrico il Superbo. Giuditta di Baviera apparteneva al casato rivale degli Svevi, i Welfen, dal quale venne poi italianizzato il nome della fazione dei "Guelfi". Occorre dunque precisare che Federico visse in un momento storico di transizione particolarmente turbolento, che con la morte dell'ultimo imperatore del casato di Sassonia, Lotario II (morto nel 1133 senza eredi), vide l'inizio delle rivalità tra la casata di Svevia e di Welfen, per la corona di Germania. Curioso notare che, mentre i Guelfi presero il nome dalla fazione dei Welfen, i Ghibellini presero nome dalla storpiatura di Waiblingen, il castello roccaforte del casato di Svevia. Inizialmente i grandi baroni tedeschi favorirono Corrado III, zio di Federico, membro del casato degli Svevi Hohenstaufen, incoronandolo re di Germania nel 1138. 
Alla morte del padre, Federico assunse inizialmente il titolo di Federico III , duca di Svevia, ma subito dopo la morte dello zio Corado III, divenuto primo Sacro Romano Imperatore di Germania della dinastia sveva Hohenstaufen, Federico fu acclamato re di Germania dai principi tedeschi, assumendo definitivamente il nome di Federico I. L'elezione dei principi tedeschi avvenne a Francoforte il 4 Marzo 1152 e l'incoronazione ebbe luogo il 9 Marzo ad Aquisgrana, presso la tomba di Carlo Magno.
Federico fu un monarca energico, in linea con la mentalità del suo tempo. Egli perseguiva un ideale di impero universale, probabilmente frutto dei retaggi culturali tramandati dalla tradizione carolingia e tardo romana, che avevano ispirato anche i suoi predecessori. Una delle contese maggiori riguardava la supremazia sulla potestà civile rispetto alla Chiesa di Roma, ispirata dal legame che gli imperatori di Germania vantavano attraverso le consuetudini tramandate dall'antico impero romano e dalla struttura amministrativa di Carlo Magno. Quest'ultimo in particolare aveva introdotto la consuetudine del diritto imperiale ad avere voce in capitolo riguardo all'elezione di vescovi e cardinali, nonché sulla nomina dello stesso vescovo di Roma, (il Papa). Alla morte di Carlo Magno e con lo sfaldamento del suo regno, il Sacro Romano Impero era divenuto il legittimo erede e depositario temporale di quel diritto. La Chiesa aveva però iniziato una politica di distacco, che nel secolo XI, con la riforma di Papa Gregorio VII (1075), era sfociata in aperto conflitto. Questa contesa tra papato ed impero, che a tutt'oggi prende il nome di lotta per le investiture, affondava le sue origini nel principio secondo il quale il Papa, in qualità di autorità spirituale suprema, aveva il diritto esclusivo di nomina di vescovi e cardinali, oltre alla facoltà di deporre il Sacro Romano Imperatore. Per contro, gli imperatori germanici avevano sempre contestato di dover sottomettere la propria autorità alla Chiesa di Roma, in quanto eredi spirituali e temporali degli imperatori romani. Questa complicata questione, che pose il Barbarossa in perenne conflitto col Papato, andò ad aggiungersi al suo desiderio di controllo diretto della penisola italiana, attraverso la riunificazione (sotto la corona germanica) dei Comuni italiani e del regno di Sicilia. Per questo motivo, durante i 38 anni del suo regno, Federico Barbarossa combatté per unire sotto il proprio controllo l'Italia ed il regno di Sicilia, scontrandosi aspramente con la Santa Chiesa romana, con le città della lega lombarda e con le altre città guelfe italiane. Proprio contro i milanesi, ed i loro alleati lombardi, Federico riportò una rovinosa sconfitta sul campo, a Legnano il 29 Maggio 1176. Suo figlio, Enrico VI, sposò la figlia del re di Sicilia Ruggero II, Costanza I d'Altavilla, col proposito di unificare le corone di Sicilia e di Germania. Alla morte di Federico, infatti, Enrico sarebbe divenuto legittimamente re di Germania, Sacro Romano Imperatore e re di Sicilia, dominando un territorio immenso, che andava dalla Germania alla punta della Sicilia. Ma Papa Urbano III, che all'epoca aveva posto la propria sede pontificia a Verona, temendo l'accerchiamento dello Stato Pontificio da parte del Sacro Romano Imperatore, si rifiutò di legittimare tale matrimonio.  Ne conseguì una vera e propria "guerra fredda" tra il pontefice e il Barbarossa, il quale isolò lo Stato Pontificio, chiudendone gli accessi a Nord ed a Sud. 
Urbano III morì nel 1187 , poco dopo aver appreso della caduta di Gerusalemme nelle mani del Saladino. Federico Barbarossa si fece quindi crociato il 27 Marzo 1188 e partì per la Terza Crociata, alla testa di 20.000 uomini, seguito poco tempo dopo dal re di Francia Filippo Augusto e dal nuovo re d'Inghilterra Riccardo I (noto anche come Riccardo Cuor di Leone). Ma il Barbarossa non vide mai la Terra Santa, poiché morì lungo il viaggio, annegando accidentalmente nel fiume Saleph, in Turchia. 

domenica 1 marzo 2015

CALENDOSTORIA - 28 Febbraio

Il 28 Febbraio 1155 nasceva Enrico il Giovane, figlio del re d'Inghilterra Enrico II e di sua moglie Eleonora d'Aquitania, duchessa di Aquitania e Guascogna, contessa di Poitiers e regina d'Inghilterra. 
Dal matrimonio tra Enrico II ed Eleonora nacquero otto figli: Guglielmo, Enrico e Riccardo (detto cuor di leone), Goffredo, Giovanni (detto senza terra), Matilde, Leonora, Giovanna. In quanto secondogenito della casa regnante, Enrico non avrebbe avuto diritto al trono, ma alla morte del fratello Guglielmo, avvenuta nel 1156, divenne formalmente il legittimo erede alla corona d'Inghilterra. 
Enrico il Giovane fu primariamente insignito dei titoli di conte del Maine ed Angiò. Ebbe un'esistenza travagliata, condizionata fortemente dal difficile momento politico che in quel periodo vedeva contrapposti gli interessi dei regni d'Inghilterra e di Francia. Essendo un uomo di personalità fragile ed effimera, fu sempre circondato da ministri fedeli a suo padre, Enrico II, che ne controllavano ogni decisione politica ed amministrativa. Dunque, benché fosse in possesso del sigillo reale fin dall'età di quindici anni, non fu mai in grado di regnare pienamente e non è ricordato tra i regnanti d'Inghilterra. Il suo matrimonio con la figlia del re di Francia Luigi VII, (Margherita), fu concordato quando aveva ancora cinque anni e da tale unione nacque un solo figlio, che purtroppo morì dopo tre giorni dalla nascita, il 22 giugno 1177. Margherita, apparentemente resa sterile dal parto difficoltoso, non riuscì a garantirgli altri eredi. 
Enrico ricevette un'educazione di prim'ordine; tra i suoi precettori ricordiamo l'arcivescovo di Canterbury Thomas Becket ed il celebre cavaliere Guglielmo "il Maresciallo", il quale lo servì come consigliere militare e politico. Alcune illazioni riguardo ad una presunta relazione amorosa tra Margherita ed il maresciallo Guglielmo portò Enrico alla decisione di allontanare il cavaliere dalla propria corte, benché quest'ultimo continuasse a proporsi per battersi in duello e dimostrare la propria innocenza. (un gesto d'onore all'epoca ben conosciuto come Giudizio di Dio). Ma Guglielmo non sarebbe rimasto lontano a lungo dal seguito del giovane Enrico, poiché questi lo avrebbe mandato a chiamare per servirlo durante le proprie campagne militari. Politicamente Enrico avversò suo padre, nel contesto della sanguinosa contesa tra Enrico II ed i figli (Enrico, Riccardo e Goffredo) per il controllo del regno continentale. All'epoca la corona d'Inghilterra poteva contare su vasti possedimenti in terra di Francia, come il ducato di Normandia, di Aquitania, la Guascogna, il Pontieu, il Maine e l'Angiò. Un ampio e ricco territorio, oggi corrispondente alla Normandia ed alla Bretagna, che Enrico II aveva esteso anche grazie al matrimonio con Eleonora di Aquitania. L'emancipata duchessa però, ripudiata da re Luigi VII per la sua stravaganza e divenuta poi regina d'Inghilterra in seconde nozze, non aveva mai accettato pienamente l'autorità di Enrico II sui propri titoli. Eleonora si sentiva ancora normanna, legata alla cultura ed alle tradizioni di quella che riteneva la sua vera patria, l'Aquitania e la Guascogna, territori in cui riscuoteva ancora larghi consensi politici. Per questa ragione si era adoperata affinché i figli tramassero contro il padre, spingendo Enrico e Riccardo a simpatizzare col re di Francia e frequentarne la corte. Enrico il Giovane possedeva una debole personalità e si lasciò mal consigliare dai nemici di Enrico II. Fu così che trovò la forza di organizzare una rivolta, con l'appoggio di Luigi VII e del re di Scozia Guglielmo, i quali avevano tutto l'interesse nell'indebolire la corona inglese. Ne risultò una guerra padre-figlio, con fortune alterne, che negli anni compresi tra il 1173 al 1175 insanguinò i possedimenti inglesi in terra di Francia. Enrico II riuscì comunque a sconfiggere il figlio, che fu così costretto a chiedere perdono. Enrico il Giovane, oltre al perdono paterno, ottenne anche un adeguato vitalizio, ma fu costretto a rinunciare al governo del regno e di tutti i suoi feudi, pur mantenendo formalmente i propri titoli. Seguì una seconda rivolta, durante la quale Enrico contrasse la dissenteria e morì presso Martel, l'11 giugno 1183. Secondo quanto descritto nella biografia postuma del prode Guglielmo il Maresciallo, " Histoire de Guillaume le Maréchal, comte de Striguil et de Pembroke, régent d'Angleterre", alla sua morte Enrico il Giovane avrebbe chiesto a Guglielmo di recarsi in Terrasanta, per partecipare alla crociata al suo posto. Guglielmo ovviamente acconsentì, restando nelle terre d'Oltremare, come cavaliere templare, fino alla caduta di Gerusalemme nelle mani del Saladino, avvenuta nel 1187. Questo fatto non deve sorprenderci, trattandosi di un'epoca in cui alla nobiltà veniva concesso, dal Papa in persona, il privilegio di affrancarsi dagli obblighi verso la Croce semplicemente nominando un campione che vi partecipasse in sostituzione, oppure facendo pubblica ammenda costruendo chiese, monasteri, elargendo donazioni agli ordini mendicanti, oltre ad una cospicua decima direttamente versata nelle casse papali. 


martedì 24 febbraio 2015

LA CORSA ALLO SPAZIO-- EPISODIO 2

NORTH AMERICAN X-15


Il North American X-15 costituì una pietra miliare nella storia del volo sperimentale. I record di velocità e quota di questo velivolo X rimasero imbattuti per molti decenni, fino al 2004. Il primo test di volo, senza accensione del razzo propulsore , fu condotto dal pilota Scott Crossfield, il 8 Giugno del 1959. Quello stesso anno, in Settembre, Crossfield eseguì anche il primo volo con propulsione. Nel 1967, ai comandi del pilota collaudatore William Knight, l'X-15 raggiunse la ragguardevole velocità di Mach 6.70, equivalente a 7274 Km/h. Ma questo non fu l'unico record raggiunto. Il pilota Joseph Walker,  portò il velivolo oltre la quota di 100 km, per ben due volte, tra il mese di Luglio e l'Agosto del 1963. Benché non abbia mai conseguito i livelli di altitudine delle capsule suborbitali Mercury, per le sue incredibili prestazioni l'X-15 è oggi ufficialmente riconosciuto come primo velivolo spaziale (suborbitale) della storia. Per 13 volte superò la soglia degli 80 Km d'altitudine, considerata negli anni '60 il limite oltre il quale il comportamento aerodinamico dei velivoli assume le caratteristiche del volo suborbitale. Il volo 91 fu quello che raggiunse il record maggiore, con 107 km di altitudine. Il pilota collaudatore Michael Adams perse la vita proprio durante uno di questi voli spaziali, (il n°191), quando il suo X-15, in assenza di gravità, iniziò a sbandare lateralmente rientrando nella stratosfera con un avvitamento ipersonico. Adams riuscì comunque a controllare il rollio del velivolo, ma non l'imbardata, che sottopose la cellula dell'X-15 ad una incredibile sollecitazione, mandandolo in frantumi. Adams venne ritrovato privo di vita, ancora agganciato al suo seggiolino.

North American X-15 lanciato a tutta velocità.
Per portare in volo l'X-15 i progettisti ricorsero al medesimo sistema di lancio del Bell X-1, ma poiché il bombardiere B-29 era ormai stato superato da altri velivoli, venne scelto come piattaforma di lancio il mastodontico Boeing B-52.  Una volta separatosi dall'aereo madre, l'X-15 veniva spinto da un motore a razzo Thiokol XLR-99 RM2 a propellente liquido, con una spinta di 313 KN a 30 km di quota ed un'autonomia di 450 km. L'X-15 sarebbe poi atterrato servendosi di un carrello triciclico, munito di pattini posteriori e doppia ruota anteriore.
Un velivolo X-15 che si è appena separato dal vettore Boeing B-52. Si nota l'accensione del motore a razzo XLR-99
L'X-15 venne costruito in soli tre esemplari, secondo le specifiche dettate dal NACA (National Advisory Committee for Aeronautics) e dall'USAF, per la sperimentazione del volo suborbitale. I prototipi realizzati portarono a compimento un totale di 199 missioni, tra il 1959 ed il 1968 ed il team di piloti era costituito da 12 collaudatori, scelti tra i migliori disponibili della U.S. Navy, della U.S. Air Force e del NACA. Curioso notare che tra loro spiccano i celebri nomi di Neil Armstrong (futuro astronauta della missione Apollo 11 e primo uomo a mettere piede sulla Luna) e Joseph Engle (Divenuto poi pilota dello Space Shuttle). Appare dunque sempre più evidente quale sia la correlazione che lega la sperimentazione degli aerei X al Progetto Spaziale Americano. Molti dei piloti collaudatori che volarono presso la base sperimentale Edwards, come ad esempio Virgil Grissom e Glenn Cooper, avrebbero successivamente preso parte ai progetti Mercury, Gemini ed Apollo. Alcuni fra loro avevano sperimentato per primi il volo in assenza di gravità e quelli che avevano superato il limite degli 80 km di quota erano stati insigniti del titolo di cosmonauti. A pochi anni di distanza da quegli storici eventi la sperimentazione dei velivoli suborbitali sarebbe entrata in un più alto livello di studio, già iniziato dal presidente D.D. Eisenhower, nel 1959, con l'atto ufficiale di trasformazione del NACA nel nuovo ente aerospaziale nazionale americano, NASA (National Aeronautics and Space Administration) . In un contesto di fermento tecnologico e politico, che vedeva il blocco dell'Unione Sovietica contrapposto agli USA nella corsa allo spazio, la NASA iniziò fin dal principio ad ideare vettori capaci di trasportare l'uomo nello spazio, facendo tesoro delle esperienze e delle tecnologie sviluppate durante i voli X. Terminata l'esperienza dell'X-15, si pensò di produrne una seconda versione, l'X-15/B, le cui modifiche prevedevano, per l'entrata in orbita, la spinta propulsiva di un razzo SM-65 Mohave. Il progetto venne però abbandonato, quando la NASA iniziò la pianificazione delle missioni Mercury...

Il velivolo sperimentale X-15 agganciato sotto l'ala dell'aereo madre Boeing B-52. Nella foto si nota il colore più scuro del cielo ai limiti della stratosfera.
L'abitacolo del velivolo X-15

Il pilota Neil Armstrong in posa fotografica davanti al suo North American X-15. Si nota immediataente la tuta pressurizzata, color argento, in uso presso il reparto di volo sperimentale, molto simile a quella impiegata dai cosmonauti delle successive missioni Mercury








martedì 17 febbraio 2015

LA CORSA ALLO SPAZIO -- Episodio 1

BELL X-1
Primo aereo supersonico


Non si può raccontare l'avvincente storia della corsa allo spazio, senza partire da "dove tutto ebbe inizio".
Il Bell X-1, anche noto come Bell XS-1, fu il primo aereo sperimentale prodotto dagli Stati Uniti d'America per la ricerca nel campo dell'alta velocità. Fu progettato dalla Bell Aircraft Company, che ne produsse soltanto sei esemplari, tra il 1946 ed il 1958. Non era un aereo adatto alla produzione in serie, in quanto sarebbe stato destinato esclusivamente allo studio delle velocità transoniche, comprese tra Mach 0.75 e Mach 1.2. Le specifiche di questo velivolo erano state indicate direttamente dal N.A.C.A. (l'ente governativo americano che, fin dal tempo della Prima Guerra Mondiale, si occupava dello sviluppo dell'aviazione). La produzione dell'X-1 fu invece finanziata dall'U.S.A.F. (United States Air Force), nell'ambito di un progetto di sviluppo ad alta segretezza. Oggi viene considerato il capostipite di una lunga serie di velivoli sperimentali X e fu il primo, il 14 Ottobre 1947, a superare la barriera del suono, ai comandi del celebre pilota Charles "Chuck" Yeager. Il Bell X-1 era un velivolo estremamente essenziale, con una strumentazione di bordo in tutto simile a quella di un aereo convenzionale degli ani '40. Era alimentato da un motore a razzo sperimentale XLR-11, prodotto dalla Reaction Motors  Inc., capace di una spinta di 6.700 N. Possedeva un'apertura alare di 8,53 mt, un'altezza di 3,3 mt ed un peso di 5.912 Kg. Per poter compiere il proprio volo l'X-1 necessitava di un "aereo madre", cioè un vettore che lo conducesse in alta quota. Per questo ruolo era stato scelto il bombardiere Boeing B-29, l'unico velivolo plurimotore disponibile all'epoca, capace di sollevare da terra un simile carico. La capacità della sua stiva bombe era infatti il motivo per il quale era stato anche scelto, nel 1945, per sganciare le pesanti bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Con una simile configurazione, (il Bell X-1 praticamente giaceva sospeso ed annegato nella fusoliera del B-29), il pilota avrebbe potuto calarsi nell'abitacolo soltanto in un secondo momento, dopo il decollo, scivolando attraverso la stiva bombe del B-29 ed accedendo ad un portello laterale che si apriva sulla fiancata del X-1. 
Il Bell X-1 viene caricato sotto il ventre di un bombardiere Boeing B-29
I test di volo vennero condotti presso la sperduta base aerea di Muroc, situata in California, ai margini di un lago estinto. Oggi è conosciuta con il nome di Base Edwards ed è ancora usata per i collaudi della NASA, o come pista di atterraggio per gli Space Shuttle.
Una volta raggiunta la quota di 25.000 piedi, il Bell X-1 veniva sganciato dall'aereo madre esattamente come una bomba ed il pilota collaudatore, distanziatosi in caduta libera dal B-29, azionava il motore a razzo, mantenendo una traiettoria rettilinea orizzontale con una minima inclinazione negativa. Proprio in questo modo, il 14 Ottobre 1947, il Bell X-1 conseguì il primo volo (ed il primo Bang) supersonico della storia, superando la temuta velocità di Mach 1.0. Quando il velivolo si avvicinava a questo valore, i piloti riferivano strane anomalie ed incontrollabili vibrazioni ai comandi, spesso perdendo il controllo dei loro apparecchi. In molti avevano già perso la vita e nessuno, ancora, conosceva con certezza quali fossero gli effetti aerodinamici che intervenivano sui comandi, una volta raggiunta la barriera del suono. Alcuni ritenevano addirittura che fosse fisicamente impossibile riuscire ad abbatterla. Possiamo dunque solo immaginare quale fosse lo stato d'animo di Charles Yeager, mentre chiuso nell'angusto abitacolo e seduto sulla punta di un razzo acceso, tentava di mantenere l'assetto del velivolo, combattendo contro il dolore delle fratture. Quando la fusoliera del Bell-X1 superò la velocità critica, le onde sonore compresse produssero un tuono udibile a molte miglia di distanza ed allora fu chiaro che il muro era stato infranto... Fu certamente un'esperienza da brivido per il giovane Yeager e proprio riguardo a questo episodio spenderemo alcune parole. Il pomeriggio precedente lo storico volo Yeager cadde da cavallo, fratturandosi alcune coste. L'infortunio era grave e con le costole fratturate non sarebbe mai riuscito a chiudere il portello laterale del X-1. Poiché il volo era stato programmato per l'indomani e non voleva rinunciare al tentativo, Yeager salì a bordo del Bell X-1 fasciandosi stretto il torace e nascondendo nella tuta di volo un manico di scopa tagliato. Servendosi poi del pezzo di legno, riuscì a chiudere il portello laterale e con grande freddezza condusse il Bell X-1 oltre la barriera del suono, raggiungendo Mach 1.45. Charles Yeager era un collaudatore di grande coraggio, la cui carriera era iniziata come pilota di P-38 Air Cobra e P-51 Mustang durante la Seconda Guerra Mondiale. Dedicò il suo Bell X-1 alla moglie Glenniss, battezzandolo Glamorous Glennis. Il velivolo è ancora oggi custodito presso il National Air and Space Museum, della Smithsonian Institution, a Washington. Quello del primo Bang supersonico non fu l'unico record di Charles Yeager. Pochi anni dopo, durante un'avaria avvenuta mentre portava ai limiti della stratosfera un prototipo sperimentale della Lockeed, (il futuro F-104), fu costretto a lanciarsi ad altissima quota, ottenendo in un solo istante sia il record di altitudine (non confermato), sia il record di quota d'eiezione da un velivolo con tuta pressurrizzata... Ancora oggi è considerato uno dei piloti collaudatori più longevi del mondo e partecipò a numerosi progetti sperimentali, tra cui anche il pilotaggio di alcuni Lifting Body della Nasa (l'M2-F1) ed altri velivoli della serie X. Rifiutò comunque di aderire, a differenza di altri suoi colleghi, al neonato progetto spaziale americano. Combatté in Corea volando sugli F-86 Sabre ed anche in Viet-Nam, pilotando un F-4 Phantom. Ha concluso la carriera militare a 72 anni, pilotando per l'ultima volta un caccia F-15-D Eagle il 14 Ottobre 1997, celebrando così il cinquantenario del suo storico volo supersonico. Tra le esperienze più note di Yeager si contano il collaudo dell'aereo spia Sr-71 Balck Bird e dell' U-2. Gli ultimi progetti ai quali partecipò attivamente riguardavano lo sviluppo dell'F117 Stealth e del bombardiere tuttala a lungo raggio Northrop B-2. Si congedò con il grado di Brigadiere Generale.
Charles Yeager fotografato ai comandi del Bell X-1. Si notano il portello laterale d'accesso e la scritta Glamorous Glennis dipinta sul muso delvelivolo
Per quanto concerne il Bell X-1, la sua carriera si concluse nel 1958, lasciando il posto ad altri aerei X con prestazioni più elevate. Il Bell X-1 di terza generazione raggiunse addirittura Mach 3.0. Ormai la strada per il volo supersonico era stata tracciata ed una nuova epoca di record stava per iniziare, all'alba di quel triste periodo storico che oggi conosciamo come Guerra Fredda. Le tecnologie aerodinamiche e propulsive sperimentate sul Bell X-1 avrebbero ispirato i progettisti aeronautici, dando vita alla futura generazione di caccia a reazione, come ad esempio l'F-86 Sabre, il Fury e molti altri. Grazie ai progettisti che realizzarono l'impresa ed ai successivi sviluppi che ne derivarono, erano state gettate anche le basi per il progetto spaziale americano. Si poteva volare più veloce, più in alto e più lontano di quanto l'uomo avesse mai fatto in precedenza, ma il genere umano era ancora confinato alla stratosfera... Occorreva dunque sviluppare una tecnologia in grado di abbattere anche quella frontiera, con il fine ultimo di garantirsi la superiorità nell'unico luogo ancora inesplorato. Lo spazio...

L'abitacolo del Bell X-1
Rara perla cinematografica è il film : UOMINI VERI, (In originale THE RIGHT STUFF), che tratta in modo esaustivo e coinvolgente il progetto spaziale americano, partendo dal Bell X-1 ed arrivando ai primi cosmonauti del progetto Mercury. Una curiosità: nel film il vero Charles Yeager interpreta il vecchio Pancho, l'uomo che serve la bistecca all'attore che interpreta Yeager, nella locanda della base di Muroc.


mercoledì 28 gennaio 2015

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 12


Ancora una volta l'iconografia ci consente di gettare uno sguardo sul passato.
L'immagine raffigura una torre d'assedio addossata alle fortificazioni di una rocca da espugnare. La torre mobile veniva impiegata in guerra fin dall'antichità classica e rappresenta una delle prime macchine d'assedio concepite dall'uomo. Si tratta di un congegno generalmente costruito in legno, dotato di ruote per consentire l'avvicinamento alle mura nemiche. La torre era generalmente dotata di merlature, feritoie e portelli mobili, esattamente come le vere torri di pietra. All'interno, un sistema di scale o ponteggi consentiva ai soldati di raggiungerne la sommità. Gli attaccanti che si trovavano all'interno sarebbero rimasti al sicuro, protetti dal tiro di frecce che certamente i difensori gli avrebbero riversato contro durante la marcia di avvicinamento. Le pareti esterne della torre venivano spesso rivestite di pelli bagnate, in modo da impedirne l'incendio causato da eventuali attacchi con frecce incendiarie o fuoco greco. Dall'alto delle merlature arcieri e balestrieri potevano efficacemente contrastare il tiro dei difensori ed una volta accostata la torre alle mura, gli attaccanti potevano gettare un pontile oltre le fortificazioni nemiche, rendendo così possibile un assalto diretto. Ovviamente tutto questo non sarebbe avvenuto in modo indolore... Molti sono stati i casi di insuccesso, spesso causati da incidenti fortuiti che hanno portato al crollo o all'incendio di tali macchine d'assedio. Il loro aspetto massiccio e mastodontico doveva esercitare certamente un effetto demoralizzante su coloro che si trovavano tra gli assediati; ciò nonostante molte erano le tecniche con cui si poteva rendere inefficace una torre d'assedio, come ad esempio il fuoco greco, il lancio di proietti incendiari, massi scagliati con catapulte, o il più efficace tiro di palle in pietra servendosi di bombarde.

martedì 27 gennaio 2015

Nuovo libro in bibliografia

PETER GREENHILL - MARIO VENTURI

CREATING MINIATURE KNIGHTS
CAVALIERI IN MINIATURA


Un'opera poliedrica, completa ed esaustiva, adatta ad un pubblico appassionato tanto di medievalistica, quanto di modellismo statico.
Il libro qui descritto non contiene tecniche per la pittura o per la realizzazione artistica di figurini storici, bensì un testo ricco di descrizioni storiche accompagnato da ottimo materiale fotografico, che assieme illustrano con dovizia di particolari il mondo delle armi dei secoli XIV e XV d.C.
Gli autori, avvalendosi di figure in scala 54mm, illustrano in modo dettagliato le tecniche di combattimento e l'evoluzione delle armature che caratterizzarono il periodo da noi conosciuto come Basso Medioevo.
Il testo prende in esame tre episodi emblematici della Guerra dei Cent'anni: La battaglia di Crecy, la battaglia di Poitiers e la battaglia da Azincourt. Di notevole interesse sono le tavole a colori raffiguranti le araldiche dei cavalieri inglesi e francesi che presero parte alle tre diverse campagne in Francia. Le battaglie vengono descritte con estrema accuratezza, arrivando anche a distinguere quali cavalieri caddero sul campo e quali furono fatti prigionieri.
Grazie alla maestria dell'artista Mario Venturi nel ricreare intere battaglie in 3D, accompagnata dalla competente ricerca storica svolta da Greenhill, il volume rappresenta un'opera veramente singolare, attraverso la quale il lettore riuscirà ad acquisire un panorama completo dell'evoluzione bellica di quel periodo. Come in ogni altra opera dedicata all'esplorazione del medioevo, anche in questo caso lo studio delle fonti risulta di fondamentale importanza. Affreschi, effigi tombali, bassorilievi e codici miniati garantiscono un buon livello di informazioni per poter realizzare una coerente ricostruzione storica. Da questo punto di vista parte l'intera opera qui proposta.
Altro aspetto davvero pregevole è il testo esplicativo bilingue Inglese-Italiano, presente in ogni pagina.