mercoledì 11 marzo 2015

LA CORSA ALLO SPAZIO- Episodio 3

Lo SPUTNIK -1


La risposta sovietica al Programma Spaziale Americano arrivò la notte tra il 4 ed il 5 ottobre 1957, con l'immissione in orbita, da parte dell'URSS, di un satellite artificiale denominato Sputnik-1
Passato alla storia come il primo satellite artificiale prodotto da genere umano, lo Sputnik rappresentò per molteplici versi una tappa fondamentale della frenetica corsa alla conquista dello Spazio. Nel 1948 i Sovietici avevano sentito l'esigenza di dare vita ad un proprio Programma Spaziale, contrapponendosi ai progressi ottenuti dai colleghi americani. Stiamo parlando di un periodo in cui, tra le due maggiori potenze belliche del mondo, regnava un allarmante clima di diffidenza ed ostilità, che ben presto sarebbe sfociato in un'escalation militare conosciuta oggi come "Guerra Fredda". Tale tensione internazionale si sarebbe protratta per quasi mezzo secolo, dal 1945 (termine della guerra in Europa e capitolazione della Germania), fino al 1991 (caduta del muro di Berlino a seguito della disgregazione dell'Unione Sovietica), portando i due schieramenti al limite dello scontro diretto. La contesa affondava le proprie radici nello scontro ideologico tra comunismo sovietico e capitalismo occidentale, ma le ragioni storiche del conflitto sono riconducibili alla necessità, sentita da entrambe le nazioni, di garantirsi un'ampia sfera di influenza politica globale. Durante questo lungo periodo la N.A.T.O. (coalizione di paesi occidentali schierati a favore dell'USA) ed i paesi aderenti al Patto di Varsavia (coalizione di nazioni est-europee alleate con l'URSS) si confrontarono aspramente sul fronte del progresso scientifico applicato alla disciplina bellica. In un simile contesto risulta quindi facile immaginare come la potenza di uno o dell'altro schieramento fosse misurata in base ai rispettivi progressi scientifici e tra questi la conquista dello Spazio risultava la frontiera più ambita. Per quanto riguardava gli USA, come già accennato in precedenti articoli, la sperimentazione degli aerei suborbitali X e la conseguente creazione della NASA avevano dato lo spunto per nuovi progetti sempre più ambiziosi. La barriera del suono era stata abbattuta dal Bell X-1, così come anche il limite della stratosfera era stato superato dal North American X-15. Dunque non restava altro da fare che portare il confronto oltre quella frontiera, inserendo un prototipo in orbita stabile attorno alla terra. I Sovietici, in questa fase della corsa allo spazio, si dimostrarono più efficienti degli americani, intuendo la possibilità di utilizzare un razzo vettore per immettere in orbita un satellite artificiale. Ciò era stato possibile grazie all'acquisizione di tecnologie aerospaziali tedesche, cadute in mano all'URSS alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In particolar modo lo studio dei missili balistici V-2, progettati dal celebre Werner Von Braun e con i quali i tedeschi avevano bombardato Londra, aveva dato modo agli scienziati russi di progettare un razzo capace di generare la spinta sufficiente per l'entrata in orbita. Fu così che, la notte del 4 ottobre 1957, lo Sputnik lasciò la rampa di lancio del cosmodromo di Baikonur, situato in Kazakistan, a bordo di un razzo del tipo R-7.
La notizia del fortunato esperimento fu trasmesso dalle emittenti radiofoniche sovietiche durante la nottata tra il 4-5 Ottobre, provocando stupore e sgomento in tutto il mondo. Sebbene nei paesi affini al Patto di Varsavia la questione avesse suscitato entusiasmo, in Occidente la notizia venne accolta con estrema apprensione, in quanto l'URSS aveva così dimostrato di essere più avanzata degli Stati Uniti d'America nello sviluppo dei missili balistici intercontinentali. Cosa avrebbe impedito, ora, ai Sovietici di armare gli R-7 con testate nucleari? L'Unione Sovietica era ora in grado di colpire i propri bersagli in tutto il mondo, servendosi di vettori balistici, mentre gli USA dovevano ancora fare affidamento sui bombardieri a lungo raggio Boeing B-52. L'America era stata innegabilmente battuta sul tempo e la NASA sarebbe stata capace di mettere in orbita un satellite soltanto tre mesi più tardi, il 31 Gennaio 1958, (satellite Explorer-1). Fu questo il motivo che spinse  la maggiore potenza occidente ad accelerare la ricerca in ambito aerospaziale, col pressante desiderio di colmare il divario che si era creato con i colleghi sovietici.


Lo Sputnik era un satellite estremamente rudimentale, se paragonato con i modelli odierni. Costituito da una semplice sfera pressurizzata di alluminio, del diametro di 58 cm, conteneva due apparecchi trasmittenti alimentati da batterie allo zinco-argento ed era munito di quattro antenne lunghe circa 2,5 m. La sua vita operativa fu di 21 giorni, durante i quali trasmise ininterrottamente il proprio segnale acustico, percorrendo 70.000.000 km in 1.400 orbite. Lo Sputnik bruciò durante il rientro in atmosfera il 3 Gennaio 1958. Alcuni radioamatori furono in grado di ascoltarne l'inconfondibile segnale, cosa che per quei tempi apparve sorprendente. In un mondo che sembrava essere in procinto di precipitare verso la guerra nucleare globale, quella notte una buona parte dell'umanità si sentì più unita e libera che mai. L'ultima frontiera era stata abbattuta, ma ancora molta strada doveva essere fatta, prima che l'uomo varcasse i confini dello spazio.


Interessante notare che l'evento fu celebrato dai Sovietici con la produzione propagandistica di orologi commemorativi, dei quali riporto di seguito le immagini. Nel primo, a sinisitra, si nota il quadrante con la rappresentazione del globo terrestre e la lancetta dei secondi dotata di un minuscolo pallino, raffigurante lo Sputnik. Il secondo orologio, a destra, possiede un indice dei secondi a disco (ad ore 6), raffigurante lo Sputnik che sfreccia vicino alla terra. Quando il disco dei secondi ruota, anche lo Sputnik si muove contestualmente al globo.













mercoledì 4 marzo 2015

CALENDOSTORIA - 4 Marzo

Il 4 Marzo 1152 viene eletto re dei tedeschi Federico I Hohenstaufen, detto il "Barbarossa".
Sarebbe impossibile racchiudere in poche righe la biografia di un uomo che rappresentò una delle figure di spicco del secolo XII. Fu al tempo stesso testimone, attore e fautore di molti avvenimenti epocali, che segnarono in modo indelebile la storia del cristianesimo e della penisola italiana. Ci limiteremo quindi a descriverne l'ascesa al trono ed alcuni tratti salienti del suo regno
Nato nel castello di Waiblingen nel 1122, era figlio di Federico II duca di Svevia. Sua madre, Giuditta di Baviera, era sorella del duca di Baviera e Sassonia e marchese di Toscana Enrico il Superbo. Giuditta di Baviera apparteneva al casato rivale degli Svevi, i Welfen, dal quale venne poi italianizzato il nome della fazione dei "Guelfi". Occorre dunque precisare che Federico visse in un momento storico di transizione particolarmente turbolento, che con la morte dell'ultimo imperatore del casato di Sassonia, Lotario II (morto nel 1133 senza eredi), vide l'inizio delle rivalità tra la casata di Svevia e di Welfen, per la corona di Germania. Curioso notare che, mentre i Guelfi presero il nome dalla fazione dei Welfen, i Ghibellini presero nome dalla storpiatura di Waiblingen, il castello roccaforte del casato di Svevia. Inizialmente i grandi baroni tedeschi favorirono Corrado III, zio di Federico, membro del casato degli Svevi Hohenstaufen, incoronandolo re di Germania nel 1138. 
Alla morte del padre, Federico assunse inizialmente il titolo di Federico III , duca di Svevia, ma subito dopo la morte dello zio Corado III, divenuto primo Sacro Romano Imperatore di Germania della dinastia sveva Hohenstaufen, Federico fu acclamato re di Germania dai principi tedeschi, assumendo definitivamente il nome di Federico I. L'elezione dei principi tedeschi avvenne a Francoforte il 4 Marzo 1152 e l'incoronazione ebbe luogo il 9 Marzo ad Aquisgrana, presso la tomba di Carlo Magno.
Federico fu un monarca energico, in linea con la mentalità del suo tempo. Egli perseguiva un ideale di impero universale, probabilmente frutto dei retaggi culturali tramandati dalla tradizione carolingia e tardo romana, che avevano ispirato anche i suoi predecessori. Una delle contese maggiori riguardava la supremazia sulla potestà civile rispetto alla Chiesa di Roma, ispirata dal legame che gli imperatori di Germania vantavano attraverso le consuetudini tramandate dall'antico impero romano e dalla struttura amministrativa di Carlo Magno. Quest'ultimo in particolare aveva introdotto la consuetudine del diritto imperiale ad avere voce in capitolo riguardo all'elezione di vescovi e cardinali, nonché sulla nomina dello stesso vescovo di Roma, (il Papa). Alla morte di Carlo Magno e con lo sfaldamento del suo regno, il Sacro Romano Impero era divenuto il legittimo erede e depositario temporale di quel diritto. La Chiesa aveva però iniziato una politica di distacco, che nel secolo XI, con la riforma di Papa Gregorio VII (1075), era sfociata in aperto conflitto. Questa contesa tra papato ed impero, che a tutt'oggi prende il nome di lotta per le investiture, affondava le sue origini nel principio secondo il quale il Papa, in qualità di autorità spirituale suprema, aveva il diritto esclusivo di nomina di vescovi e cardinali, oltre alla facoltà di deporre il Sacro Romano Imperatore. Per contro, gli imperatori germanici avevano sempre contestato di dover sottomettere la propria autorità alla Chiesa di Roma, in quanto eredi spirituali e temporali degli imperatori romani. Questa complicata questione, che pose il Barbarossa in perenne conflitto col Papato, andò ad aggiungersi al suo desiderio di controllo diretto della penisola italiana, attraverso la riunificazione (sotto la corona germanica) dei Comuni italiani e del regno di Sicilia. Per questo motivo, durante i 38 anni del suo regno, Federico Barbarossa combatté per unire sotto il proprio controllo l'Italia ed il regno di Sicilia, scontrandosi aspramente con la Santa Chiesa romana, con le città della lega lombarda e con le altre città guelfe italiane. Proprio contro i milanesi, ed i loro alleati lombardi, Federico riportò una rovinosa sconfitta sul campo, a Legnano il 29 Maggio 1176. Suo figlio, Enrico VI, sposò la figlia del re di Sicilia Ruggero II, Costanza I d'Altavilla, col proposito di unificare le corone di Sicilia e di Germania. Alla morte di Federico, infatti, Enrico sarebbe divenuto legittimamente re di Germania, Sacro Romano Imperatore e re di Sicilia, dominando un territorio immenso, che andava dalla Germania alla punta della Sicilia. Ma Papa Urbano III, che all'epoca aveva posto la propria sede pontificia a Verona, temendo l'accerchiamento dello Stato Pontificio da parte del Sacro Romano Imperatore, si rifiutò di legittimare tale matrimonio.  Ne conseguì una vera e propria "guerra fredda" tra il pontefice e il Barbarossa, il quale isolò lo Stato Pontificio, chiudendone gli accessi a Nord ed a Sud. 
Urbano III morì nel 1187 , poco dopo aver appreso della caduta di Gerusalemme nelle mani del Saladino. Federico Barbarossa si fece quindi crociato il 27 Marzo 1188 e partì per la Terza Crociata, alla testa di 20.000 uomini, seguito poco tempo dopo dal re di Francia Filippo Augusto e dal nuovo re d'Inghilterra Riccardo I (noto anche come Riccardo Cuor di Leone). Ma il Barbarossa non vide mai la Terra Santa, poiché morì lungo il viaggio, annegando accidentalmente nel fiume Saleph, in Turchia. 

domenica 1 marzo 2015

CALENDOSTORIA - 28 Febbraio

Il 28 Febbraio 1155 nasceva Enrico il Giovane, figlio del re d'Inghilterra Enrico II e di sua moglie Eleonora d'Aquitania, duchessa di Aquitania e Guascogna, contessa di Poitiers e regina d'Inghilterra. 
Dal matrimonio tra Enrico II ed Eleonora nacquero otto figli: Guglielmo, Enrico e Riccardo (detto cuor di leone), Goffredo, Giovanni (detto senza terra), Matilde, Leonora, Giovanna. In quanto secondogenito della casa regnante, Enrico non avrebbe avuto diritto al trono, ma alla morte del fratello Guglielmo, avvenuta nel 1156, divenne formalmente il legittimo erede alla corona d'Inghilterra. 
Enrico il Giovane fu primariamente insignito dei titoli di conte del Maine ed Angiò. Ebbe un'esistenza travagliata, condizionata fortemente dal difficile momento politico che in quel periodo vedeva contrapposti gli interessi dei regni d'Inghilterra e di Francia. Essendo un uomo di personalità fragile ed effimera, fu sempre circondato da ministri fedeli a suo padre, Enrico II, che ne controllavano ogni decisione politica ed amministrativa. Dunque, benché fosse in possesso del sigillo reale fin dall'età di quindici anni, non fu mai in grado di regnare pienamente e non è ricordato tra i regnanti d'Inghilterra. Il suo matrimonio con la figlia del re di Francia Luigi VII, (Margherita), fu concordato quando aveva ancora cinque anni e da tale unione nacque un solo figlio, che purtroppo morì dopo tre giorni dalla nascita, il 22 giugno 1177. Margherita, apparentemente resa sterile dal parto difficoltoso, non riuscì a garantirgli altri eredi. 
Enrico ricevette un'educazione di prim'ordine; tra i suoi precettori ricordiamo l'arcivescovo di Canterbury Thomas Becket ed il celebre cavaliere Guglielmo "il Maresciallo", il quale lo servì come consigliere militare e politico. Alcune illazioni riguardo ad una presunta relazione amorosa tra Margherita ed il maresciallo Guglielmo portò Enrico alla decisione di allontanare il cavaliere dalla propria corte, benché quest'ultimo continuasse a proporsi per battersi in duello e dimostrare la propria innocenza. (un gesto d'onore all'epoca ben conosciuto come Giudizio di Dio). Ma Guglielmo non sarebbe rimasto lontano a lungo dal seguito del giovane Enrico, poiché questi lo avrebbe mandato a chiamare per servirlo durante le proprie campagne militari. Politicamente Enrico avversò suo padre, nel contesto della sanguinosa contesa tra Enrico II ed i figli (Enrico, Riccardo e Goffredo) per il controllo del regno continentale. All'epoca la corona d'Inghilterra poteva contare su vasti possedimenti in terra di Francia, come il ducato di Normandia, di Aquitania, la Guascogna, il Pontieu, il Maine e l'Angiò. Un ampio e ricco territorio, oggi corrispondente alla Normandia ed alla Bretagna, che Enrico II aveva esteso anche grazie al matrimonio con Eleonora di Aquitania. L'emancipata duchessa però, ripudiata da re Luigi VII per la sua stravaganza e divenuta poi regina d'Inghilterra in seconde nozze, non aveva mai accettato pienamente l'autorità di Enrico II sui propri titoli. Eleonora si sentiva ancora normanna, legata alla cultura ed alle tradizioni di quella che riteneva la sua vera patria, l'Aquitania e la Guascogna, territori in cui riscuoteva ancora larghi consensi politici. Per questa ragione si era adoperata affinché i figli tramassero contro il padre, spingendo Enrico e Riccardo a simpatizzare col re di Francia e frequentarne la corte. Enrico il Giovane possedeva una debole personalità e si lasciò mal consigliare dai nemici di Enrico II. Fu così che trovò la forza di organizzare una rivolta, con l'appoggio di Luigi VII e del re di Scozia Guglielmo, i quali avevano tutto l'interesse nell'indebolire la corona inglese. Ne risultò una guerra padre-figlio, con fortune alterne, che negli anni compresi tra il 1173 al 1175 insanguinò i possedimenti inglesi in terra di Francia. Enrico II riuscì comunque a sconfiggere il figlio, che fu così costretto a chiedere perdono. Enrico il Giovane, oltre al perdono paterno, ottenne anche un adeguato vitalizio, ma fu costretto a rinunciare al governo del regno e di tutti i suoi feudi, pur mantenendo formalmente i propri titoli. Seguì una seconda rivolta, durante la quale Enrico contrasse la dissenteria e morì presso Martel, l'11 giugno 1183. Secondo quanto descritto nella biografia postuma del prode Guglielmo il Maresciallo, " Histoire de Guillaume le Maréchal, comte de Striguil et de Pembroke, régent d'Angleterre", alla sua morte Enrico il Giovane avrebbe chiesto a Guglielmo di recarsi in Terrasanta, per partecipare alla crociata al suo posto. Guglielmo ovviamente acconsentì, restando nelle terre d'Oltremare, come cavaliere templare, fino alla caduta di Gerusalemme nelle mani del Saladino, avvenuta nel 1187. Questo fatto non deve sorprenderci, trattandosi di un'epoca in cui alla nobiltà veniva concesso, dal Papa in persona, il privilegio di affrancarsi dagli obblighi verso la Croce semplicemente nominando un campione che vi partecipasse in sostituzione, oppure facendo pubblica ammenda costruendo chiese, monasteri, elargendo donazioni agli ordini mendicanti, oltre ad una cospicua decima direttamente versata nelle casse papali.