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lunedì 22 settembre 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 11

Questa miniatura, proveniente dalle Cronache del Villani, raffigura la distruzione delle mura e della città di Firenze ad opera delle truppe di Totila, re dei Visigoti, il quale si rese anche colpevole del martirio del vescovo e degli altri sacerdoti della città. Il contesto è quello delle guerre goto-bizantine, che insanguinarono l'Italia centrale e meridionale nel corso del V e VI secolo d.C. 
Dopo la riconquista della città, ad opera delle truppe di Nersete, i bizantini ricostruirono le mura, ma ridussero sensibilmente il perimetro difensivo di Firenze. Le continue scorrerie dei popoli provenienti dal Nord, le carestie provocate dalla devastazione delle campagne e le conseguenti pestilenze avevano infatti prodotto una tale contrazione della popolazione da richiedere un drastico rimodellamento delle mura, riducendone il tracciato rispetto alla più antica cerchia romana. Molte aree abitative vennero abbandonate, alcuni edifici pubblici smantellati ed il materiale edile impiegato per produrre nuove mura. Ben poco resta oggi di tali fortificazioni e l'unico esempio architettonico visibile ancora oggi è rappresentato dalla Torre della Pagliazza.
Interessante notare come l'autore dell'icona abbia rappresentato le mura nel tipico stile bizantino, con torri di candida pietra calcarea dominate da cupole dorate di foggia orientale. L'unica struttura riconoscibile al centro della scena è il battistero di San Giovanni, nel suo ben noto stile romanico-paleocristiano.
I soldati che si trovano al margine destro della scena indossano il vestiario militare in uso tra le fanterie del secolo XIII d.C., che ovviamente non coincide con lo stile del periodo goto-bizantino. Costituisce comunque un buon esempio per l'osservazione delle armature in uso tra XII e XII secolo: Una lunga cotta d'arme copre la sottostante cotta di maglia ed un ampio chapél de fer (cappello di ferro munito di falda larga) sovrasta il cappuccio in cuoio che avvolge la testa, lasciando intravedere solo l'ovale del volto. Uno scudo a forma di mandorla appare appeso al braccio sinistro di uno dei due armigeri, rivestito con tela colorata ed adornato con un'araldica. Totila viene rappresentato a sinistra, raffigurato con lo scettro in mano e con il tipico vestiario del cavaliere del secolo XII-XIII. Egli indossa un'armatura che copre interamente il busto, dotata di protezioni per le ginocchia e per le braccia; probabilmente l'intera armatura del corpo e le rotelle a protezione delle giunture sono probabilmente realizzate in cuoio bollito, un materiale molto usato in quel periodo. La testa appare protetta da una cervelliera di ferro, sulla quale si poteva anche calare il grande elmo pentolare, mentre dal cinturone legato in vita pende una corta daga, utile da usare di punta per farsi strada tra gli anelli delle cotte di maglia, oppure nelle visiere degli elmi. Curioso il fatto che l'autore abbia rappresentato il re dei Visigoti con una folta barba rossiccia, probabilmente per indicarne le origini nordiche (o maliziosamente "imperiali"???) del soggetto. Ricordiamo che il Villani scrive le sue Cronache in un periodo durante il quale è ancora molto sentita la controversia tra Papato e potere imperiale.
Nel complesso l'immagine risulta di forte impatto emotivo, con la raffigurazione di una scena di totale devastazione e crudeltà. L'efferatezza del contesto è dimostrata dall'esecuzione sommaria alla quale vennero sottoposti i ministri ecclesiastici fiorentini: le vittime inginocchiate davanti ai carnefici e le teste separate dal corpo, col sangue che sgorga a fiotti dai colli recisi.
Ciò dimostra che un assedio poteva concludersi in molti modi. Sebbene non fossero poi così comuni le devastazioni di questa portata, soprusi, saccheggi, esecuzioni di massa e stupri erano la conseguenza usuale alla quale venivano sottoposti i vinti. Se la città aveva opposto un'accanita resistenza, l'esercito assediante ed il suo comandante si sentivano moralmente autorizzati a punire spietatamente coloro che avevano osato arrecargli il maggiore danno. In altri casi la divergenza ideologica religiosa poteva dar luogo a vere e proprie epurazioni, come nel caso sopra citato.






venerdì 18 luglio 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 10

BATTAGLIA DI SLUYS
BATTAGLIA DI LA ROCHELLE
Nei testi di warfere medievale la guerra navale spesso ricopre una sezione marginale. Eppure fin dall'antichità possedere una flotta ben munita significava disporre di una risorsa fondamentale per il controllo dei mari e delle tratte commerciali. Durante gli assedi di città costiere i navigli da guerra potevano essere impiegati per bloccare i porti, impedendo così il rifornimento della città assediata. In altri casi invece l'invasione poteva essere condotta direttamente dal versante marittimo ed in questo caso l'esercito assediante si sarebbe impegnato nella conquista delle fortificazioni portuali. Per scongiurare una simile minaccia tutte le maggiori città costiere si erano dotate di adeguate contromisure, come ad esempio torri di avvistamento disposte lungo la costa, massicce fortezze costruite all'imbocco dei porti (dotate di bastioni e batterie di artiglieria), oppure immense catene disposte all'ingresso del porto per impedire l'ingresso di navi nemiche. Rischiare l'ingresso in un porto ben protetto costituiva un'impresa quasi impossibile e per questo motivo si preferiva pattugliare le acque nelle immediate vicinanze, limitandosi ad impedire l'ingresso di rifornimenti in città. Se però gli assediati venivano raggiunti da una provvidenziale flotta di liberazione, poteva aver luogo una vera e propria battaglia navale atta a spezzare l'accerchiamento della città. Nelle due icone qui riportate sono rappresentate due delle maggiori battaglie navali della Guerra dei Cent'anni. La battaglia di Sluys e quella di La Rochelle.
Ad una prima analisi dell'immagine si nota chiaramente un gran numero di navi del tipo "Cocca", dotata di un singolo albero maestro e due alti castelli difensivi, rispettivamente a poppa ed a prua.
La cocca fu una tipologia di nave largamente diffusa nel Medioevo, a partire dal secolo XII. Probabilmente si trattava di una evoluzione del Cogh o di altri navigli già largamente diffusi nei mari scandinavi, ideata sotto l'impulso della lega anseatica per il miglioramento dei commerci sulla costa Atlantica, nel mare del Nord e nel Baltico. La cocca era infatti una nave adatta a solcare questi turbolenti mari, mentre nel Mediterraneo e nell'egeo (tradizionalmente considerati mari chiusi e meno agitati), si era sviluppata un'altra tipologia di nave, derivata dall'antico Dromone bizantino e destinata ad avere grande fortuna tra le repubbliche marinare: la Galea.
La Cocca poteva raggiungere mediamente le 1.000 tonnellate di stazza e con i suoi alti castelli difensivi di prora e di poppa costituiva anche un'eccellente nave da guerra. L'incastellamento della nave, non presente nei modelli precedentemente utilizzati per il commercio, era una novità originata probabilmente dall'esigenza delle città anseatiche di proteggere i propri convogli mercantili dalla pirateria. Nelle immagini qui riportate possiamo notare numerosi arcieri e balestrieri posizionati sui castelli e sulla coffa (la torretta posta in cima all'albero maestro), intenti a scagliare frecce contro gli avversari. I fanti si sono invece lanciati all'arrembaggio della nave nemica, dando luogo ad un serrato corpo a corpo nel quale si notano numerosi soldati che precipitano in mare. Il timone delle Cocche è ancora del tipo tradizionale, con una barra di manovra posta a poppa e le vele risultano invece di forma quadrata, a differenza delle vele triangolari che contraddistinguono le galee e gli sciabecchi mediterranei. I soldati indossano bacinetti, cappelli ferrati ed armature deltutto simili a quelli delle normali fanterie, pertanto risulta ragionevole pensare che a quel tempo non vi fosse differenza tra l'equipaggiamento delle truppe terrestri e quelle impegnate in azioni marittime.
Importante ricordare che la battaglia di Sluys fu combattuta il 24 Giugno 1340 tra la flotta inglese di Edoardo III e quella francese di filippo VI, comandata dall'ammiraglio Hugues Quieret. Fu la prima grande battaglia navale della Guerra dei Cent'anni e sembra che Edoardo III abbia assunto il comando diretto della flotta durante le operazioni di combattimento. Lo scontro risulta storicamente importante perché portò all'annientamento della flotta francese, rendendo così impossibile un'invasione dell'Inghilterra e spostando l'intero svolgimento della guerra sul territorio francese per i successivi centosedici anni...

sabato 28 giugno 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 9



In questa immagine tratta da un manoscritto d'epoca si notano altri aspetti d'interesse riguardanti le tecniche d'assedio impiegate nel medioevo. Come già detto in alcuni post precedenti la conquista di una fortificazione poteva risultare estremamente complicata, soprattutto quando si trattava di una grande città. Queste infatti, se dotate di mura ben munite, risultavano praticamente impenetrabili. L'abbondante presenza in città di mulini, orti e magazzini colmi di provviste, poteva rendere difficile prendere per fame i difensori. Inoltre la presenza di pozzi, cisterne, o in alcuni casi fiumi che scorrevano all'interno della cinta muraria,  potevano garantire una riserva d'acqua inesauribile. Dunque agli assedianti non restava altra scelta che prepararsi ad un'estenuante operazione di accerchiamento, isolando la città dal resto del mondo ed impedendole così di rifornirsi di viveri e uomini abili al combattimento. Contemporaneamente sarebbero iniziati i lavori di ingegneria militare, come ad esempio vaste operazioni di sterro per deviare il corso dei fiumi (togliendo acqua preziosa agli assediati e prosciugando il fossato difensivo), oppure lo scavo di gallerie sotto le mura per provocarne il crollo. Inoltre si sarebbero costruite torri d'assedio, arieti coperti da tettoie (chiamati anche "gatti") e le immancabili scale a pioli per assaltare le mura. In fine si sarebbe fatto largo uso di artiglierie meccaniche (trabucchi, mangani, catapulte) ed a polvere nera, nel tentativo di aprire una breccia nelle mura, o più semplicemente lanciare carcasse di animali infetti per diffondere una pestilenza tra i difensori, (uno dei primi esempi di guerra batteriologica). Ma per mettere in atto un così complesso sistema di tecniche d'assedio occorrevano degli accampamenti militari dotati di difese stabili, che consentissero una permanenza sicura in loco per settimane o addirittura mesi. Questo anche in ragione del fatto che niente avrebbe potuto impedire ai difensori di compiere delle "sortite", nel disperato tentativo di rompere l'accerchiamento nemico. Per proteggersi da una simile evenienza venivano quindi costruite delle "bastide", detti anche "baluardi" o "boulevard". Semplici fortificazioni di legno, costituite da palizzate e terrapieni, con le quali gli assedianti difendevano i propri accampamenti. L'immagine che riportiamo in questo articolo ci mostra chiaramente un esempio di baluardo eretto dagli attaccanti davanti ad una delle porte della città assediata. Ovviamente le bastide venivano allestite in corrispondenza delle vie d'accesso principali, delle porte fortificate e nei pressi dei porti; tutto ciò a scopo di disturbo e contenimento. Nell'immagine vediamo quindi gli aggressori difendersi dietro una muraglia di legno, mentre scoccano frecce verso le mura della città. Una nave, probabilmente una cocca, simboleggia la flotta che pattuglia le acque di fronte al porto cittadino per impedire i rifornimenti dal mare.  I difensori rispondono con una pioggia di dardi e la città appare ben fornita di bastioni, caditoie ed un munitissimo barbacane che precede un ponte fortificato sospeso sopra il fossato.

domenica 15 giugno 2014

Tecniche d'assedio e arte iconografica. Parte 8


Dopo un lungo silenzio, causa problemi informatici con il PC, ecco a voi un altro episodio della serie dedicata all'arte iconografica ed alle tecniche d'assedio.
In questa immagine viene raffigurato l'assedio di Rodi del 1480. Gli Ottomani assediano l'ultima roccaforte dei cavalieri Ospitalieri, il luogo dove l'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme si era ritirato dopo la caduta di Acri e di ciò che restava dei regni Latini di Terra Santa, nel 1291. Nell'ottica di un'espansione militare verso l'occidente, Rodi appariva agli occhi degli islamici un caposaldo che doveva essere conquistato ad ogni costo, poiché troppo vicina all'Anatolia per essere ignorata.  I cavalieri Ospitalieri riuscirono comunque a respingere gli assedianti, mantenendo il possesso dell'isola per altri 42 anni. Rodi cadrà infatti a seguito di un secondo assedio, condotto sempre dagli Ottomani nel 1522. Dopo aver perso Rodi, i cavalieri Ospitalieri si insediarono a Malta, dove poi assunsero il nome odierno di "Cavalieri di Malta".
In questo caso l'artista, (quasi certamente occidentale), ha utilizzato soggetti a lui familiari, anche nella rappresentazione dell'esercito Ottomano. Si nota una grande varietà di galee, che simboleggiano la flotta turca in avvicinamento al porto fortificato di Rodi. Sebbene queste navi dalla forma affusolata e dal basso pescaggio fossero estremamente diffuse nel Medioevo, difficilmente sarebbero state impiegate dagli Ottomani, poiché questi ultimi prediligevano altri tipi di vascelli, come gli sciabecchi ed i caicchi.
La galea era una nave di derivazione antica, spesso considerata come un'evoluzione del dromone bizantino, il quale a sua volta derivava dalla trireme romana. Si trattava di una nave a scafo stretto e piatto, adatta ai mari chiusi come il Mediterraneo e l'Egeo, veloce ed agile, dotata di vele triangolari e di vari ordini di rematori. L'equipaggio ai remi era spesso costituito da schiavi o galeotti ed è per questo motivo che venne chiamata galea o galera. Le grandi potenze marinare come ad esempio Venezia, Pisa, Genova, Amalfi, ne fecero largo uso tanto per il trasporto mercantile quanto per scopi militari. La galea si componeva di un unico ponte all'aperto, sul quale trovavano posto i viaggiatori. Sotto coperta si trovava la stiva per le merci e gli animali, oltre agli spazi riservati ai i rematori. La poppa era coperta da una sorta di castello, in genere adibito ad alloggio privato del comandante o dei suoi ospiti. Con l'avvento delle armi da fuoco, le galee da guerra vennero dotate di piccole bombarde e bocche da fuoco montate su appositi affusti girevoli. Calibri più grandi erano invece sistemati a prua ed a poppa, con un angolo di puntamento esclusivamente anteriore e posteriore. Le galee possedevano più alberi e velature di forma triangolare (qui volutamente rimossi dall'autore, probabilmente per motivi estetici). Nell'immagine appare chiaro che gli Ottomani stanno sbarcando truppe sulla riva di un'insenatura, servendosi di scialuppe ed imbarcazioni più piccole. I soldati turchi sono raffigurati con ampi turbanti e scudi colorati, mentre le loro navi recano l'araldica della mezzaluna sul cielo del castello di poppa. Le munitissime difese di Rodi appaiono ricolme di armigeri cristiani, pronti a sostenere l'urto delle armate turche. L'araldica dei cavalieri Ospitalieri (Una croce bianca in campo rosso) appare tanto sulle cotte d'arme degli armigeri quanto sui vessilli che sventolano alla sommità dei torrioni. L'ordine di San Giovanni Ospitaliere di Gerusalemme adottò la cotta d'arme rossa solo alla fine del secolo XIII. Prima di allora i cavalieri ed i sergenti dell'Ordine usavano indossare tuniche di colore differente (nero per i cavalieri e marrone per i sergenti), sempre decorate con una croce bianca sulla spalla o sul petto. 
Il mastio difensivo qui raffigurato, che protegge il porto di Rodi, è un ottimo esempio di opera ingegneristica del basso Medioevo: un torrione circolare, dotato di più aperture per bocche da fuoco, che dimostra la sempre maggiore importanza assunta nel Medioevo dalle armi a polvere nera. La batteria di bombarde è in grado di aprire il fuoco a 360°, proteggendo tutti i lati del porto e rendendo così estremamente pericoloso l'avvicinamento per le navi nemiche. Il torrione è collegato alla città da una striscia di terraferma, protetta a sua volta da una bastida costituita di palizzate in legno. Nella parte bassa dell'immagine appare chiaro che gli Ospitalieri stanno compiendo una sortita, nel coraggioso tentativo di difendere da un assalto degli Ottomani un punto debole delle difese. Sulle mura merlate della città si scorgono invece alcuni arcieri, mentre sul tratto più lontano dei bastioni, (parte alta dell'immagine) si scorgono alcune batterie di bocche da fuoco stese a terra tra le merlature; gli artiglieri stanno aprendo il fuoco contro le scialuppe in avvicinamento ed anche contro le orde di nemici che sembrano aver preso terra conquistando un primo tratto di fortificazioni.

venerdì 30 maggio 2014

Nuovo libro aggiunto in bibliografia

Antonio Losi
VALDARDNO 
LUGLIO 1944


Dettagliata descrizione delle fasi di liberazione del Valdarno, concentrate in un'opera ricca di particolari e materiale fotografico. La valle del fiume Arno costituisce fin da tempi antichissimi una terra di transito, in quanto attraversata da tre ramificazioni principali della via Cassia: la Cassia di fondovalle, la Cassia Vetus e la Cassia Adrianea. Durante il secondo conflitto mondiale il Valdarno fu testimone di violenti scontro armati, che videro coinvolte numerose forze tedesche ed angloamericane. Avendo il preciso scopo di rallentare l'avanzata degli Alleati, l'esercito tedesco stabilì una linea difensiva denominata "Arno Line", che si posizionava in mezzo a due ulteriori sbarramenti: la Linea Trasimeno (più a Sud, verso Arezzo) e la Linea Gotica (più a Nord, verso Firenze). Molte furono le forze messe in campo e la resistenza offerta dalle truppe tedesche portò ad una lenta e sanguinosa liberazione dei singoli centri urbani presenti nella zona. S. Pancrazio, Capannole, Bucine, Pogi, Montevarchi, Ricasoli, Levane, sono soltanto alcune delle località che subirono le tragiche conseguenze di questa guerra. Il libro del Losi ripercorre ciascun evento bellico con dovizia di particolari, attraverso mappe strategiche ed una minuziosa ricostruzione dei fatti avvenuti nel mese di Luglio del 1944. Di particolare rilievo risulta l'elenco dei caduti civili di Montevarchi, uomini e donne rimasti uccisi da schegge di granata o giustiziati dalle truppe germaniche

giovedì 29 maggio 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 7



Interessante icona dell'assedio di Reims del 1359. In primo piano notiamo l'insolita configurazione delle due bocche da fuoco, affiancate sopra lo stesso affusto; gli artiglieri  avevano assicurato le artiglierie direttamente ad un tavolaccio dotato di ruote, che potevano basculare per regolare l'angolazione del tiro. Sul terreno sono presenti numerosi proiettili in pietra e si possono notare anche alcuni "barilotti" (simili a boccali di birra dotati di manico) che costituivano la parte finale dell'arma. Il barilotto veniva riempito di polvere nera e posto all'interno della culatta della bombarda, nel punto in cui era situato il focone. La quantità di polvere necessaria allo sparo veniva dosata empiricamente dal mastro artigliere, il quale si basava semplicemente sulla propria esperienza personale.
La città di Reims viene rappresentata con alte torri cilindriche (la forma tonda essendo più sfuggente offre una minore superficie d'impatto ai proiettili delle artiglierie, deviandoli e riducendone l'efficacia). Curiosa la forma delle tende che compongono l'accampamento inglese, costituito da padiglioni conici tenuti in piedi da corde e tiranti picchettati al suolo. Elegante la struttura della porta fortificata e sullo sfondo, oltre le mura, svettano le due torri candide della cattedrale di Reims. Il celebre edificio di culto era visibile a grande distanza, grazie al riverbero della luce solare che ne illuminava le bianche pareti di pietra e marmo. Al suo interno sono stati incoronati tutti i re di Francia a partire dalla dinastia capetingia (Ugo Capeto fu il primo nel 987) ed è oggi considerata un esempio di arte gotica portato al massimo livello espressivo. La sua costruzione iniziò nel 1211 e terminò nel 1475, ma all'epoca in cui venne realizzata questa immagine miniata evidentemente la cattedrale aveva già raggiunto la forma definitiva con le due torri campanarie.
Nell'immagine riconosciamo anche il re d'Inghilterra Edoardo III circondato dai suoi luogotenenti; ad un primo sguardo appare chiaro che, benché gli eventi narrati siano correlati alla prima metà del secolo XIV, le armature complete raffigurate dall'artista appartengono allo stile del XV secolo. Anche in questo caso si tratta di armature in metallo scuro, probabilmente brunito, mentre gli elmi sono bacinetti con visiera mobile, entrati in uso solo nella seconda decade del '400. Le armature da campagna erano spesso più "grezze" e meno rifinite nei dettagli rispetto alle splendenti armature cerimoniali o da giostra. Benché ciò non costituisca una costante, è evidente che l'uso al quale venivano sottoposte richiedeva maggiore attenzione alla praticità, piuttosto che all'estetica. Sopra l'armatura gli uomini d'arme (Man at Arms) indossano dei "surcotti" o "cotte d'arme", vesti prive di maniche usate per il riconoscimento sul campo di battaglia. I surcotti, come già detto in precedenti articoli, venivano decorati con ricami raffiguranti l'araldica familiare o il casato del signore sotto il quale si prestava servizio. Edoardo III viene rappresentato con indosso un surcotto recante l'araldica della famiglia reale inglese: inquartato di rosso e di blu con i fiordalisi della corona di Francia ed i pardi (leone araldico) della corona d'Inghilterra. In fine, si nota come la maggior parte dei soldati usi armi inastate tipiche delle fanterie da mischia dei secolo XIV e XV: Il soldato alla destra di Edoardo III  imbraccia un falcione, mentre quello alla sua sinistra stringe in mano una pole-axe (testa d'ascia inastata). L'armigero alla destra della bocca da fuoco invece imbraccia un'arma simile ad uno spiedo o un falcione di dimensioni ridotte.

FESTA MEDIEVALE MALMANTILE

Per tutti gli appassionati del genere
ecco un evento di sicuro interesse


domenica 25 maggio 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica - Parte 6

FUOCO GRECO


L'immagine sopra presentata proviene da un manoscritto, il codice Skylitzes, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Madrid. Stando alla dicitura riportata sull'immagine originale, la scena raffigura l'equipaggio di un vascello romano che incendia una nave nemica.
Il termine "fuoco greco" venne coniato per identificare una miscela incendiaria usata dai Bizantini, la cui ricetta veniva gelosamente custodita dall'Imperatore e da pochi altri eletti. L'invenzione di tale composto incendiario viene generalmente attribuita ad un greco di nome Callinico e sembra che fosse impiegato tanto nelle battaglie navali, quanto nella guerra d'assedio. La miscela incendiaria veniva letteralmente espulsa da un ugello per mezzo di mantici e soffioni azionati da artiglieri, oppure scagliata contro i nemici racchiudendola in giare di coccio (servendosi di catapulte). Il fuoco greco era composto da: pece, salnitro, zolfo, nafta e calce viva (paradossalmente due di questi ingredienti sono contenuti anche nella polvere da sparo). Ciò consentiva alla miscela di aderire a qualsiasi superficie, continuando a bruciare anche sulla superficie dell'acqua; per questa ragione era particolarmente adatto alla guerra navale, ma poteva essere anche usato per incendiare torri d'assedio durante la difesa delle mura di una città. Data la natura chimica del composto, il fuoco greco era difficile da estinguere e costituiva un vero incubo per tutti coloro che vi venivano esposti. Immaginiamo dunque lo scoramento ed il panico dei marinai il cui dromone, sciabecco venivano inondati di "fuoco liquido". Essi sarebbero stati certamente costretti a scegliere se abbandonare il proprio vascello o perire tra le fiamme. L'impatto psicologico doveva essere paragonabile ai moderni lanciafiamme.
Considerazione personale: Interessante e contraddittorio notare come nell'icona la nave aggredita dalle fiamme presenti un castello a poppa, tipico delle trireme e dei dromoni romano-bizantini. L'altro vascello invece ha vele triangolari, scudi sulle fiancate e timone manovrato direttamente dallo scafo; sebbene la vela triangolare sia tipica delle navi usate nei mari chiusi come il Mediterraneo e l'Egeo, la forma del vascello (prua e poppa molto arcuate e marinaio biondo, barbuto, che manovra l'ugello del fuoco greco) fa curiosamente pensare ad una nave normanna.





giovedì 15 maggio 2014

Nuovo Atlante aggiunto in bibliografia

ATLANTE CAMBRIDGE
WARFARE 
THE MIDDLE AGES
768 d.C. - 1487 d.C.


L'Atlante Cambridge qui presentato descrive con dovizia di particolari lo sviluppo delle strategie e delle tattiche belliche adottate dalle civiltà che popolarono l'Europa durante il periodo dell'alto e del basso medioevo.
Di seguito alcune immagini tratte dall'interno di questo magnifico testo.




martedì 6 maggio 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 5


Interessantissima miniatura raffigurante l'assedio di Brest del 1386, ad opera delle truppe francesi.
Anche in questa circostanza, appare evidente un largo impiego di bocche da fuoco a polvere nera, montate sopra supporti ruotati. I calibri più grandi, (qui non rappresentati), probabilmente venivano ancora adagiati sul terreno, a causa dell'impossibilità di sostenerne l'immenso peso ed il rinculo durante lo sparo. Un artigliere, raffigurato sul margine sinistro dell'immagine, sta alimentando un braciere servendosi di un mantice. La brace probabilmente serviva ad incendiare la punta di un bastoncino, che il mastro artigliere avrebbe poi avvicinato al "focone" della bombarda (un foro situato posteriormente sulla culatta). Attraverso l'orifizio del focone si accedeva direttamente alla camera di scoppio, incendiando così la polvere da sparo.
Il fossato appare insolitamente coperto di pannelli in legno, ma sotto di essi spuntano fascine di sterpaglie e barili vuoti. I genieri dell'esercito assediante hanno quindi condotto una paziente opera di riempimento, colmando la profondità del dislivello con fascine di legna secca e barili galleggianti legati gli uni agli altri, in modo da creare una superficie stabile. Solo successivamente avrebbero gettato le assi di legno, in modo da creare un pontile adatto all'attraversamento di un gran numero di uomini e macchine d'assedio.
Secondo la rappresentazione fornita dall'autore, una volta riempito il fossato i soldati sembrano lanciarsi all'assalto delle mura per mezzo di scale a pioli, ma appare evidente dal numero di vittime raffigurate sul terreno che i difensori riescono ad infliggere pesanti perdite agli attaccanti. Verrettoni, frecce e pietre vengono scagliati giù dai ballatoi ed i malcapitati che si trovano sulla loro traiettoria precipitano al suolo. Un soldato, sulla destra dell'immagine, coraggiosamente prosegue la scalata ponendo lo scudo sopra la testa, mentre sullo sfondo alcuni arcieri francesi tentano di contrastare il tiro dei difensori.
Interessante notare la raffigurazione del ponte levatoio in procinto di essere sollevato da un ingegnoso sistema di leve, costituito da catene e travi di legno. All'altezza di due feritoie, poste alle rispettive basi delle torri circolari, si notano un paio di sbuffi infuocati; ciò mi porta a credere che si tratti della rappresentazione di armi da fuoco portatili. Gli schioppi medievali non avevano niente a che fare con i moderni fucili, a causa della loro scarsa precisione ed affidabilità, ma il loro impiego durante gli assedi è ben documentato fin dalla prima metà del secolo XIV. Si trattava di armi estremamente primitive, ottenute spesso da rudimentali fusioni in ghisa o bronzo. La canna veniva poi montata sopra un affusto in legno, che l'artigliere avrebbe dovuto appoggiare sopra la spalla nella stessa posizione in cui, oggi, si brandeggiano i moderni bazooka. L'innesco dello sparo risultava poi alquanto pittoresco: tenendo in posizione l'arma con un solo braccio, si doveva impiegare l'altra mano per avvicinare una miccia incandescente al focone, posto all'estremità posteriore dell'arma...  Maneggiare uno schioppo risultava estremamente pericoloso, poiché la canna poteva fessurarsi durante lo sparo ed investire lo stesso artigliere con il lampo della detonazione. Un'esplosione del genere poteva uccidere il malcapitato, oppure ferirlo gravemente, dunque per questo motivo l'impiego di armi da fuoco portatili rimase per lungo tempo assai limitato.
Per quanto concerne l'abbigliamento, sembra che l'autore abbia raffigurato armi ed armature appartenenti ad un periodo leggermente successivo all'epoca narrata. Ad esempio, l'armatura completa dell'uomo d'arme che tenta la scalata delle mura al centro dell'immagine, presenta una foggia in uso solo a partire dalla prima metà del secolo XV. Inoltre, sia assediati che assedianti indossano elmi di forma svasata, alcuni dotati anche di visiera mobile. Questa tipologia di elmo (identificato in lingua inglese con il nome di "Sallet" o "Kettle helmet") benché già presente nel secolo XIV, si diffuse in modo particolare tra gli eserciti europei solo nel secolo XV.
Per quanto riguarda poi il resto dell'abbigliamento, sono largamente rappresentati i "brigantini" in cuoio bollito, rivestiti di tessuto colorato. Alcuni soldati indossano una calzabraga bicolore, mentre l'armigero sdraiato al suolo (vicino alla bombarda) porta dei gambali in tessuto direttamente allacciati alle braghe. 




domenica 4 maggio 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 4



Ancora una splendida miniatura che ci mostra chiaramente uno degli innumerevoli espedienti escogitati per attraversare fossati allagati. In questa immagine osserviamo le truppe inglesi di re Edoardo III impegnate nell'assedio di Tournai del 1340. L'assedio, per quanto ne sappiamo, non andò a buon fine e per questo motivo si giunse ad un accordo pacifico. Appare chiaro, ad una prima osservazione, che gli attaccanti stanno attraversando il fossato servendosi di un ponte di barche. La tecnica, (già ben nota nell'antichità classica), consisteva nell'allineare numerosi barconi fluviali, fissandoli gli uni agli altri, in modo da poterli successivamente coprire con assi di legno. Si creava così un ponte di barche, utile per far avvicinare in breve tempo i soldati alle difese della città. Questa era una tecnica alternativa, molto più rapida rispetto al riempimento del fossato con terra o massi. 
Sulla destra dell'immagine notiamo lo svolgimento di un accanito combattimento, una mischia che si è creata nei pressi di una porta fortificata munita di torri ed inferriate. I difensori escono dalla città per affrontare gli inglesi di Edoardo nel punto di approdo del ponte di barche. L'autore raffigura il re d'Inghilterra sul primo barcone, in mezzo ai suoi uomini ed intento ad impartire ordini. Si riconosce nella figura del cavaliere all'estrema sinistra dell'immagine, con indosso la cotta d'arme della casa reale: Inquartato di rosso e di blu, con raffigurati i leoni (il pardo araldico) della corona d'Inghilterra ed i fiordalisi (giglio araldico) della casa reale francese. Per scelta dell'autore, Edoardo III indossa un chapél de Fer, cappello di metallo a falda larga molto diffuso tra gli uomini d'arme di quel  periodo. Indossa anche un'armatura completa ed i gambali sono dorati. Dietro di lui, appare il suo portastendardo ed al centro della mischia, oltre a fanti armati di spade e scudi, appare anche un arciere munito del celebre long bow (arco lungo inglese), un'arma presente in gran numero tra le file degli inglesi. Quasi tutti i soldati indossano elmi in metallo brunito, (intuibile dal colore scuro con il quale sono rappresentati) e giubbe di cuoio bollito, rivestite all'interno da placche di ferro. Questo genere di giubba veniva anche chiamata "brigantino" e le placche metalliche che ne costituivano l'armatura interna erano fissate da rivetti, le cui teste sporgevano all'esterno, conferendo alla giubba stessa quel tipico aspetto borchiato che osserviamo nell'immagine. Spesso i brigantini venivano rivestiti di tessuto del colore corrispondente alla casata o comandante sotto cui si serviva.
Sullo sfondo dell'immagine si notano altri soldati inglesi che tentano la scalata delle mura per mezzo di scale a pioli, (altra tecnica largamente diffusa ma di scarsa efficacia).  I francesi, raffigurati come i difensori dei bastioni, sembrano armati con lunghe lance ed alcuni fra loro scagliano pietre sulla testa degli attaccanti. I soldati inglesi colpiti cadono nel fossato allagato ed uno di essi, all'estrema destra dell'immagine, sembra essere in procinto di annegare. Il peso di un'armatura poteva infatti trascinare gli armigeri sul fondo, impedendogli di riemergere. Le mura della città sono raffigurate nel tipico stile quattrocentesco, con eleganti torri dotate di bifore, feritoie e tetti a spiovente ricoperti di tegole.



martedì 29 aprile 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 3



In questa rappresentazione del 1470 di Jean de Warin si notano altri due tipi di bocche da fuoco, questa volta montate su supporti ruotati o basculanti. Con buona probabilità il realizzatore di questa opera si è ispirato a modelli osservati dal vivo e pertanto in uso a quel tempo.

Da notare sul terreno, accanto alle bombarde, i proiettili di pietra levigata che venivano generalmente caricati a mano attraverso la bocca da fuoco. Davanti ad essa si inserivano poi stracci, paglia o erba, per "calzare bene il proiettile" e ridurre la dispersione della carica dopo lo scoppio della polvere. Un procedimento lungo e faticoso che rendeva la procedura di caricamento estremamente lenta. Altra osservazione meritano i tasselli di legno inseriti dietro la culatta o sotto l'affusto, probabilmente usati come zeppe per correggere la traiettoria del tiro.
Curiosa la rappresentazione dei tendaggi, sicuramente presenti nel campo d'assedio, decorati con drappeggi e ricami a filo d'oro. In alcune circostanze si usava il filo di rame, per ottenere decorazioni dorate ad un costo minore, soprattutto quando tali tessuti erano destinati ad un uso campale come nel caso di cotte d'armi, stendardi, tende da campo e drappi per cavalli da guerra. Ma quando veniva esposto alle intemperie, il rame si ossidava virando verso una colorazione verde e questo fatto, in alcune circostanze, ha indotto gli studiosi a dibattere sul "vero colore" di alcune araldiche rappresentate nei codici miniati. Tende di simile raffinatezza e decoro verosimilmente appartenevano ad un nobile di alto rango.
I notabili raffigurati sul lato sinistro dell'iconografia rappresentano in un certo senso un riassunto di ciò che avveniva attorno ad una guerra d'assedio. Contrattazioni tra assedianti ed assediati, alleanze diplomatiche, accordi di tregua, ecc...  I due dignitari sembrano stringere un accordo, unendo le loro mani sopra un cuscino di tessuto blu. Essi sono circondati dai propri consiglieri e tutti indossano i tipici abiti del secolo XV. Uno dei due soggetti principali (quello a destra) indossa la corona, simbolo di regalità. Ma si notano anche i tipici simboli del cavalierato: la pelliccia di vaio che circonda i margini della veste ed il colletto della cotta d'arme, gli speroni d'oro indossati sopra gli stivali ed in fine la spada, che pende dal fianco.

sabato 26 aprile 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 2


In questa dettagliata raffigurazione di assedio del XV secolo si nota chiaramente la tecnica con la quale venivano impiegate le prime artiglierie a polvere nera. Una volta posizionata la bocca da fuoco nei pressi delle mura, si costruivano paratie mobili in legno per proteggere gli artiglieri dal tiro di frecce nemiche durante le fasi di caricamento. Al momento dello sparo, la paratia basculante veniva sollevata tirando alcune corde e l'artigliere poteva accendere la polvere da sparo avvicinando una miccia accesa al "focone" (foro posto sulla culatta posteriore, attraverso il quale si accedeva direttamente alla camera di scoppio). Una volta eseguito lo sparo, la paratia veniva nuovamente abbassata per vanificare il tiro di frecce da parte dei difensori. Da notare anche l'abbigliamento dell'artigliere, in questo caso rappresentato simile ad un fante. Il duca di Alencon è stato qui raffigurato in sella al suo cavallo, anch'esso rivestito del relativo drappo araldico. Il duca indossa un'armatura a piastre completa ed un elmo a bacinetto dotato di visiera mobile, nella foggia entrata in uso a partire dalla prima metà del '400. All'estrema destra dell'immagine troviamo invece un balestriere intento a ricaricare la propria balestra attraverso un congegno a manovella deltutto simile nel suo funzionamento a quello chiamato "accrocco" . Ma mentre l'accrocco consisteva in una carrucola che si portava appesa anteriormente al cinturone, la balestra raffigurata nella miniatura sembra avere un sistema di caricamento integrato con l'arma stessa. Le palle sparate dalla bombarda giacciono sul prato accanto all'arma e sono di pietra levigata. Il ferro o il bronzo infatti, all'epoca, erano ancora metalli troppo rari e costosi.



giovedì 24 aprile 2014

Tecniche d'assedio ed arte iconografica. Parte 1


Le rappresentazioni iconografiche d'epoca spesso costituiscono vere e proprie "fotografie sul passato". Miniaturisti e pittori spesso si sono ispirati a soggetti coevi, traendo ispirazione dal proprio contesto di vita e riportando su carta o tela ciò che potevano osservare nella realtà. Essi scattavano così preziosissime istantanee, che mettono in evidenza usi e costumi di epoche ormai lontane. Ripropongo dunque di seguito una serie di brevi articoli, già pubblicati in passato su altri portali, che prendono in esame alcune iconografie medievali, con particolare riferimento alle tecniche d'assedio.
Fin da quando esistono città da espugnare, l'uomo si è ingegnato per escogitare metodi sempre più evoluti e raffinati atti ad aggirarne le difese. Mura, bastioni, fossati e trappole erano elementi comuni di quasi tutte le fortificazioni e costituivano spesso un ostacolo invalicabile per qualsiasi attaccante. I difensori di un castello o di una città erano in grado di tenere testa ad intere armate per periodi prolungati, spesso vanificando ogni tentativo di assalto. Dunque occorrevano espedienti, ingegno e fantasia per riuscire a sfondare le difese ed a tal proposito contiamo un numero considerevole di tecniche e macchine d'assedio, ben note fin dai tempi della Grecia classica. Un attaccante determinato ad assaltare una fortificazione aveva solo tre opzioni a disposizione: Sfondare le mura, passarvi sopra oppure passarvi sotto. In altri casi l'espediente del tradimento, organizzato con l'aiuto di complici che si trovavano all'interno della città, permetteva di far aprire le porte all'insaputa dei difensori. Ma qualunque fosse il metodo scelto, occorreva tempo, perseveranza ed intuito per condurre a buon fine un assedio, mettendo anche in bilancio l'ipotesi di dover rinunciare.
Dunque, ritenendo di far cosa gradita ai lettori appassionati dell'argomento, inserisco di seguito un'immagine tratta da un manoscritto francese del secolo XV. Nel lato sinistro dell'immagine viene raffigurato un esercito assediante, che cerca di scalare le mura di una città per mezzo di scale in legno. Nella parte destra dell'immagine invece appare una "mina", cioè una galleria scavata sotto le mura nemiche con lo scopo di provocarne il crollo e creare un varco per le truppe. Lo scavo delle mine veniva generalmente svolto da genieri specializzati: una volta creata la galleria veniva dato fuoco alle impalcature ed il peso delle mura, privato del sostegno sottostante, avrebbe dato origine al collasso di quel tratto di fortificazioni. Scavare una mina era un lavoro sporco e pericoloso, a causa dei continui crolli improvvisi e della scarsità di aria. Spesso i difensori scavavano delle contromine (gallerie parallele) allo scopo di intercettare quelle degli attaccanti e farle crollare. In tal caso ne scaturivano vere e proprie battaglie sotterranee corpo a corpo, che rendevano ancora più pericoloso il lavoro dei genieri.
L'osservazione dell'immagine dunque, sebbene con le dovute cautele, ci aiuta a comprendere le tecniche d'assedio impiegate in un determinato contesto, nonché l'aspetto di armature ed armamenti. Esse costituiscono vere e proprie "fotografie sul passato" in quanto l'autore




RADUNO AUTO STORICHE A.S.I.

RADUNO DI PRIMAVERA AUTO STORICHE 





l'ASI è l' Automotoclub Storico Italiano, costituito nel 1966, è una Federazione composta da 263 club federati e 38 club aderenti, che riunisce appassionati di veicoli storici. 
Il raduno del 5-6 Aprile 2014 è patrocinato dal Club Auto-Moto-Veicoli e trattori d'epoca Umbro e si terrà a San Venanzano (TR). Sul sito dell'ASI potrete trovare numeri ed indicazioni utili, semplicemente clikkando il link sopra indicato.

lunedì 21 aprile 2014

Nuovo inserimento in bibliografia

Mezzo semicingolato tedesco SdKfz 251


Manuale ricco di materiale fotografico inedito di altissima qualità, purtroppo interamente tradotto in lingua cinese (o giapponese??).
Il testo è ricco di riferimenti iconografici per coloro che desiderano approfondire la storia di questo veicolo e delle sue innumerevoli varianti belliche.
La SdK 251 è un semicingolato blindato, creato dalla Hanomag in quattro modelli (A-B-C-D) appositamente per il trasporto e protezione delle truppe combattenti sul campo di battaglia. Il significato dell'acronimo SdKfz è: "Sonder Kraftfahrzeug", ossia "veicolo per usi speciali. La Wehrmacht ne fece largo impiego durante la Seconda Guerra Mondiale e ben presto anche gli Alleati adottarono un simile sistema di trazione. La Guerra Lampo, adottata dalla Germania allo scoppio delle ostilità nel 1939, prevedeva un largo impiego di truppe motorizzate, capaci di spostarsi sui vari settori del teatro bellico e raggiungere i propri obbiettivi facendo uso di mezzi corazzati e blindati.  A tal proposito, i semicingolati costituiscono un tentativo di risolvere i limiti presentati dagli autocarri per quel che concerne la manovrabilità "offroad". L'SdK 251 poteva infatti muoversi agevolmente anche su terreni impervi, grazie al treno di rotolamento posteriore dotato di cingoli, unendo alla grande trazione una buona manovrabilità conferita dalle ruote anteriori, di tipo tradizionale. La blindatura leggera, inclinata per deflettere meglio eventuali colpi di armi leggere e schegge di granata, avrebbe garantito una sorta di protezione ai fucilieri seduti all'interno del veicolo, ma la visibilità di guida del cingolato ne risultò penalizzata, a causa della bassa posizione del sedile di guida ed alla stretta feritoia anteriore, che consentiva solamente una visuale frontale. Il motore, poi era a contatto con il vano di guida ed il rumore risultava assordante. Ciò nonostante, la versatilità di questo veicolo permise all'esercito tedesco di impiegarlo in diversi ruoli: mezzo d'assalto, ricognizione, trasporto truppe, traino artiglierie leggere, trasporto munizioni, vettore lanciarazzi. Furono prodotte versioni dotate di cannoni 7,5 cm a canna corta, (soprannominato "Stummel", tradotto letteralmente "mozzicone"), oppure fornite di ponti, apparati radio, mitragliatrici, lanciarazzi e lanciafiamme.
A meno che non si conoscano le lingue orientali, questo volume sarà utile solo a coloro che necessitano materiale iconografico di riferimento. 
Di seguito riporto alcune pagine come esempio.










sabato 19 aprile 2014

IL MUSEO DI BAYEUX

MUSEO MEMORIALE DI BAYEUX





Bayeux è una piccola città situata nel dipartimento del Calvados, nella regione della Bassa Normandia.
Il luogo è conosciuto soprattutto per il famoso Arazzo di Bayeux, oggi custodito presso il museo comunale, ma anche per la sua magnifica cattedrale gotica e per il giardino botanico comunale, ricco di specie rare e centenarie. Per coloro che amano studiare gli eventi della Seconda Guerra Mondiale, Bayeux offre anche la possibilità di visitare uno dei musei più suggestivi di tutta la Normandia. Il Musée Mémorial Bataille de Normandie è infatti un moderno complesso, che ospita una vasta gamma di reperti d'epoca, attraverso i quali ripercorre le tappe del famoso D-Day, lo sbarco alleato sulle spiagge della Normandia, avvenuto la mattina del 6 Giugno 1944. Non è facile condensare in poche righe l'insieme di emozioni che il Musée Mémorial suscita nei suoi visitatori. All'interno si possono ammirare oggetti di ogni genere, carri armati, veicoli militari d'epoca, cannoni, teche stracolme di minuterie ed oggetti di vita quotidiana, impiegati dai soldati tedeschi ed alleati durante le fasi cruciali di quella che sarebbe passata alla storia come la "Battaglia di Normandia". La collezione è allestita in modo suggestivo, tanto all'interno quanto all'esterno del museo, anche attraverso la ricostruzione di ambientazioni e l'impiego di manichini vestiti con abiti d'epoca. L'esposizione museale si compone di più settori, divisi come segue:
Sala Overlord: Settore britannico  - Settore americano   
Sala Montgomery: Diorama (sala dei plastici)
Cinema (Proiezione di filmati dell'epoca) 
Sala Eisenhower
Hall, con esposizione di souvenir in vendita
All'esterno del museo sono stati posizionati alcuni carri armati alleati e tedeschi. Durante gli scontri del 1944 molti di questi giganti di ferro andarono perduti sul campo ed essi sono ora esposti presso il museo, come testimonianza degli eventi occorsi in quei tragici giorni di Giugno. La battaglia fu violentissima ed altrettanto sanguinosa fu l'avanzata delle truppe alleate nell'entroterra. L'operazione Neptune, (con questo nome gli Alleati battezzarono lo sbarco), costituì solo una parte della più ampia Operazione Overlord, finalizzata all'invasione della Normandia. Fu la più grande azione di sbarco anfibio della storia: più di 5.000 imbarcazioni vi presero parte, per condurre oltre 2.000.000 di uomini oltre la Manica nel periodo tra Giugno ed Agosto 1944. Inoltre gli Alleati misero in campo circa 8.000 carri armati e ben 12.000 aerei. Ancora oggi, sulle spiagge degli sbarchi, emergono reperti di ogni genere e Bayeux si trovava proprio al centro del piano di invasione, sebbene sia stata liberata senza neanche sparare un colpo dalla 50° Divisione Britannica "Northumbria". Lungo le strade litoranee che costeggiano le spiagge degli sbarchi si possono incontrare altri piccoli musei e cimiteri commemorativi, ma quello di Bayeux rappresenta una delle più grandi collezioni visitabili, assieme al museo di Arromanches.

Un carro M-4 Sherman esposto davanti all'entrata del museo. Lo Sherman era un carro medio di buone prestazioni, che ben presto divenne la spina dorsale dei reparti corazzati alleati. Prodotto in innumerevoli versioni ed equipaggiato con un motore stellare di derivazione aeronautica, risultò un mezzo efficiente e di facile manutenzione. Purtroppo la blindatura non risultò sempre all'altezza della situazione, quando confrontata con quella dei più pesanti carri tedeschi. 
Un carro britannico Churchill Crocodile. Notare la bocca del lanciafiamme posizionata sullo scafo,( in basso sulla destra dell'immagine), accanto alla postazione del pilota.
Jadgpanzer 38(t) 'Hetzer'.  Questo piccolo cacciacarri tedesco veniva costruito sulla base del Panzer 38 (t), privato della torretta per ospitare un cannone da 7,5 cm. Aveva una sagoma molto defilata, difficile da individuare sulle lunghe distanze e per questa ragione risultava un bersaglio particolarmente difficile da colpire. L'Hetzer è il risultato dell'involuzione industriale che colpì la Germania durante le fasi finali della guerra. Ormai in ritirata su tutti i fronti e pressata sul campo di battaglia da un numero sempre maggiori di carri armati Alleati, la Germania mise in campo una serie di carri "low cost" spesso derivandoli dallo scafo di altri carri armati preesistenti. In questo modo fu compensata la scarsità di materie prime, producendo numerosi "cannoni cingolati" adatti a tendere imboscate ai più numerosi carri nemici.L'assenza di torretta rendeva fondamentale il coordinamento tra pilota e puntatore, poiché il brandeggio dell'arma era minimo e per questo si poteva mirare al bersaglio solo spostandosi sui cingoli.
Un cannone tedesco calibro 7,5 cm PAK 40 (Panzerabwehrkanone 40 7,5 cm). Cannone anticarro ruotato molto diffuso tra i reparti della Wehrmacht.
Carro Churchill Crocodile visto di fianco. Questo carro armato inglese ebbe il battesimo del fuoco durante il fallimentare tentativo di sbarco di Dieppe, il 19 Agosto 1942. Per quell'occasione i Churchill erano stati modificati con barriere anfibie di galleggiamento, ma le alte onde della mareggiata distrussero le barriere ed i carri affondarono in mare. I pochi Churchill  fortunati che raggiunsero le spiagge, incontrarono forti difficoltà nel manovrare sui ciottoli della spiaggia e divennero così facili prede per l'artiglieria controcarro tedesca. Il fallito sbarco di Dieppe risultò inizialmente un eclatante errore da parte degli Alleati, ma nonostante le forti perdite umane permise di testare le difese tedesche, nell'ottica di una più vasta operazione di invasione che sarebbe poi avvenuta in Normandia solo due anni più tardi.
La brochure del museo.

Interessante libro sui cannoni

Un nuovo libro da aggiungere alla bibliografia...
 
I CANNONI
1939-1945
 

Ampia panoramica fotografica in B/N, arricchita da un testo saturo di descrizioni tecniche ed informazioni utili per tutti coloro che intendono approfondire l'arte della guerra.
L'artiglieria costituì un importante aspetto tattico del Secondo Conflitto Mondiale, considerato oggi l'età aurea del cannone. Tra il 1939 ed il 1945 le artiglierie campali raggiunsero l'apice evolutivo, ma le bocche da fuoco erano ben conosciute anche nel Medioevo. Si fa infatti risalire il loro primo impiego al 1320 d.C. e solo sessant'anni più tardi fecero la propria comparsa sul campo di battaglia anche le armi da fuoco portatili. L'impiego delle artiglierie è stato spesso determinante durante gli scontri armati, tanto nell'antichità quanto nell'era moderna e nonostante le guerre attuali vengano combattute con missili, razzi e congegni autoguidati, i cannoni continuano a rappresentare un irrinunciabile strumento tattico, sebbene ridimensionati nella varietà e nella quantità.
L'autore, Ian V. Hogg, è stato insignito del titolo di "Master Gunner First Class" dall'esercito britannico ed ha servito il suo Paese come artigliere di carriera. In qualità di docente, egli può essere considerato uno dei massimi esperti sulla materia ed è per questo motivo che i contenuti del presente libro rappresentano una vera e propria perla di saggezza per tutti coloro che sono interessati a studiare l'argomento.
Cannone "Gustav", calibro 80 cm, montato su carrello ferroviario
Una delle tante  pagine ricche di fotografie riguardanti prototipi e pezzi operastivi

giovedì 10 aprile 2014

THE INTREPID SEA, AIR & SPACE MUSEUM


Un'altra incredibile attrazione offerta dalla città di New York è senza dubbio l'Intrepid Sea, Air & Space Museum. Il museo galleggiante, allestito a bordo della portaerei USS Intrepid CV-11, ancorata permanentemente presso lo scalo portuale Pier 86, sulla 46th strada, nel West Side di Manhattan.
L'esposizione di velivoli ed equipaggiamenti è impressionante, così come anche l'ambientazione in cui essi sono inseriti. Il visitatore potrà passeggiare tranquillamente sul ponte di una portaerei, ammirando numerosi velivoli che hanno fatto la storia dell'aviazione navale e terrestre.
La portaerei Intrepid CV-11 fu varata il 26 aprile 1943 e dismessa il 15 marzo 1974. Fu salvata dalla rottamazione ed adibita a museo galleggiante nel 1982. Oggi viene considerata patrimonio nazionale americano. La portaerei partecipò attivamente alla battaglia del Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale ed in tale occasione venne speronata da ben tre aerei kamikaze giapponesi. Sopravvissuta agli attacchi suicidi che provocarono numerose vittime tra i membri dell'equipaggio, benché gravemente danneggiata venne riparata e rimessa in mare. Successivamente fu rimodernata per ospitare le moderne catapulte ed i cavi di arresto, indispensabili per lanciare e far atterrare i moderni aviogetti a reazione. L'ultimo conflitto al quale l'Intrepid partecipò fu la Guerra del Viet Nam. La nave è visitabile tanto sul ponte di volo, quanto negli ampi hangar sottostanti. Sotto coperta si possono ammirare numerosi velivoli e reperti d'epoca, come tute spaziali, torrette girevoli ed un magnifico silurante Avanger, il quale domina l'esposizione con la sua tipica doppia colorazione (blu scuro e grigio gabbiano) impiegata durante la guerra nel Pacifico. Ma anche altri sono gli esemplari interessanti, come ad esempio la capsula spaziale del progetto Mercury, l'Aurora 7 sulla quale Scott Carpenter compì il suo volo suborbitale. Interessante anche la replica della capsula Gemini (dentro la quale ci si può sedere ammirandone l'essenziale strumentazione), un jet F-86 Sabre della guerra di Corea ed un caccia A4 Skyhawk che rievoca la guerra del Viet Nam.
Il ponte esterno invece ospita il ricognitore supersonico stelath  Lokheed A-12 BlackBird (il primo prodotto dalla Lockheed), un F-14 Tomcat (che molti ricorderanno pilotato da Tom Cruise nel film Top Gun), un italianissimo Macchi MB-339 delle Frecce Tricolori, un elicottero da combattimento AH-1 "Cobra", uno Kfir israeliano, un Mig 15 della Repubblica Popolare Cinese ed in fine un fantastico F4 Phantom, lo storico caccia che fu protagonista di numerosi duelli aerei durante la Guerra del Viet Nam. Inoltre, dal 2012 la poppa della USS Intrepid ospita un nuovo padiglione, nel quale è stato posizionato lo Space Shuttle. La visita di quest'ultimo però richiede il pagamento di un biglietto aggiuntivo.
A completamento di questa magnifica collezione, sulla banchina portuale posta a fianco dell'immensa nave si può ammirare un esemplare del Concorde, che di certo vi impressionerà per le sue dimensioni e per la sua linea aerodinamica affusolata.
Il museo è facilmente raggiungibile in taxi e si affaccia sulla riva orientale del fiume Hudson. Si tratta di una visita molto particolare e suggestiva, ma che mi sento in dovere di consigliare solo ai veri appassionati del genere. All'interno della nave, oltre che documentarvi riguardo a vari aspetti della vita di bordo, potrete anche assistere ad un breve filmato proiettato a ripetizione più volte al giorno e che descrive il tragico evento dello speronamento Kamikaze avvenuto durante la guerra del Pacifico. Filmati originali d'epoca e resoconti narrati dai reduci si fondono in una toccante presentazione stereofonica, che vi darà l'impressione di vivere in prima persona la tremenda esperienza affrontata dall'equipaggio dell' USS Intrepid.
F-4 Phantom. Questo caccia storico prodotto dalla Mc Donnel Douglas divenne la spina dorsale dell'aviazione di marina statunitense durante gli anni '60 e '70. Molto apprezzato dai suoi equipaggi, la sua forma aggressiva e la coda tipicamente angolata verso il basso sono oggi considerati un'icona della guerra del Viet Nam. Il caccia aveva elevate prestazioni, portava fino a nove missili a guida radar AIM7 Sparrow ed a guida infrarossa AIM9 Sidewinder, ma i suoi equipaggi lamentavano l'assenza di un cannoncino per lo scontro ravvicinato. Una smile "trascuratezza di progetto" poteva essere imputato solo al fatto che la mentalità del warfare aereo in quell'epoca stava cambiando radicalmente, rispetto alle guerre precedenti. Ci si stava infatti affidando esclusivamente alla nuova tecnologia dei missili, portando così lo scontro ad una distanza calcolabile in miglia, senza tener conto che in alcune circostanze lo scontro ravvicinato sarebbe stato comunque inevitabile, rendendo così inutilizzabili i missili. Per questo motivo l' F-4 Phantom sarebbe stato aggiornato  nelle successive versioni, aggiungendo un cannone per lo scontro ravvicinato e numerose altre configurazioni d'armamento. Il Phantom è rimasto in servizio per lungo tempo presso la US Navy ed altre aeronautiche militari, (tra le quali anche la moderna Luftwaffe), partecipando anche alla prima Guerra del Golfo come velivolo "Wildweasel". La radiazione completa dai reparti di volo iniziò  nel 1996, sostituendo il Phantom con velivoli più moderni.


I primi elicotteri operativi erano poco più che libellule dotate di rotore ed erano principalmente impiegati come ricognitori o per missioni di salvataggio. Questo modello era dotato di verricello e veniva impiegato per il recupero dei piloti precipitati in mare.

Replica della capsula Mercury di Scott Carpenter, l'Aurora 7.
Il volo dell'Aurora 7 si inserisce nel più ampio contesto della corsa allo spazio, iniziata dai sovietici con il lancio del satellite Sputnik nel 1957 ed il successivo volo suborbitale di Yuri Gagarin il 12 Aprile 1961. La corsa allo spazio di URSS e Stati Uniti d'America si protrasse per lungo tempo con alterne fortune, che videro protagonisti i cosmonauti di entrambe le parti e che si concluse con lo sbarco americano sulla Luna. Il progetto Mercury fu il primo avviato dagli americani per raggiungere questo risultato finale e la capsula presentata in questa foto costituisce l'angusto modulo abitativo che avrebbe ospitato il cosmonauta durante il volo spaziale. La capsula veniva innestata sulla punta di un missile balistico Titan oppure di un più efficiente Atlas, che con la sua tremenda spinta d'accensione provvedeva a metterla in orbita. Una volta separata dal modulo propulsore, la capsula proseguiva il suo volo suborbitale, ammarando infine nell'Oceano Pacifico sostenuta da tre ampi paracadute. Agli elicotteri della USS Intrepid venne assegnato l'arduo compito di recuperare Scott Carpenter e la sua costosa capsula, Aurora 7.

Pannello strumenti della capsula Gemini. Il progetto Gemini fu la naturale prosecuzione del programma spaziale Mercury. Una volta accertata la possibilità di inviare uomini nello spazio e recuperarli vivi, occorreva testare la possibilità di far uscire i cosmonauti nello spazio esterno e farli rientrare nella capsula incolumi. A tale scopo venne progettata una navicella leggermente più ampia di quella impiegata nel progetto Mercury, prevedendo la presenza di due astronauti affiancati. Proprio grazie ad una capsula come questa Ed White compì la sua prima passeggiata spaziale. La foto del pannello strumenti è stata da me scattata stando seduto sul sedile destro dell'angusto abitacolo.



Capsula Gemini. 
STORICO VOLO GEMINI 4 & PASSEGGIATA SPAZIALE
Il Concorde ancora oggi ci impressiona per le sue elevate prestazioni, fino ad oggi mai superate da altri aviogetti di linea. Si tratta di una macchina estrema, concepita per abbattere la barriera del suono. Il progetto del Concorde risale agli anni '60 e prima di allora solo un altro aereo di linea era riuscito a raggiungere la ragguardevole velocità di Mach 2, il sovietico Tupolev TU-144.  Benché il Concorde sia stato ormai ritirato dal servizio, (anche a seguito del tragico incidente di Parigi che nel 2000 vide precipitare in fiamme il volo 4590), esso incarna ancora oggi l'icona più rappresentativa del business flight di lusso. Il Concorde poteva superare la barriera del suono e percorrere la distanza tra Londra e New York in circa tre ore e mezza. I mostruosi costi di manutenzione però lo hanno reso un aereo estremamente oneroso, che ben poche compagnie sarebbero state in grado di mantenere in linea di volo per lungo tempo. Quindi, a causa della crisi occorsa a seguito degli attentati alle Twin Towers e della conseguente depressione economica che investì il mondo del trasporto aereo, nel 2003 il Concorde effettuò il suo ultimo volo.

Un altro aereo storico è l'F9F Cougar, versione successiva del F9F Panther, protagonista della guerra di Corea. Questo "reattore" degli anni '50 faceva parte dei reparti imbarcati della US NAVY ed appartiene alla stessa epoca del Mig-15 e del F-86 Sabre.
Un Mig 21 Bis

Mig 15 Repubblica Popolare Cinese

Scene di vita quotidiana a bordo della USS Intrepid, durante le operazioni di manutenzione ad un A-1 Skyrider

AH-1 Cobra (sinistra)  e Sikorsky H-19 (destra)
Black Bird SR-71. Questo magnifico aereo spia è il primo esemplare prodotto dalla Lockheed. Il Black Bird era l'unico aereo al mondo in grado di raggiungere la velocità di Mach 3 ed era in grado di scattare foto all'infrarosso da una quota di 24.000 metri. Volando ai limiti della stratosfera e più velocemente di ogni altro velivolo, il Black Bird era in grado di sottrarsi al raggio d'azione di missili terra-aria ed intercettori nemici. L'aereo non portava alcun tipo di armamento e gli equipaggi erano costretti ad indossare tutte pressurizzate, simili a quelle degli astronauti.


F-14 Tomcat. Questo celebre caccia intercettore della US NAVY è stato recentemente sostituito nel suo ruolo dal più moderno F-18 Hornet. Trattasi comunque di un magnifico caccia biposto con ala a geometria variabile, capace di trasportare numerosi missili aria-aria Phoenix, a lungo raggio. l'F-14 nasce negli anni '70, in piena guerra fredda, quando la Marina Americana pone all'attenzione del Ministero della Difesa la necessità di produrre un intercettore capace di individuare e distruggere bersagli a lunga distanza, adottando il nuovissimo missile Phoenix. Ormai da tempo si era venuti a conoscenza del fatto che i Russi possedevano missili di crociera trasportabili dai loro bombardieri, capaci di affondare con un solo colpo una portaerei... Ciò impose alla US Navy di studiare un nuovo sistema difensivo basato su "missili anti missile", capaci di intercettare un oggetto volante nemico a centinaia di miglia di distanza. Purtroppo però, lanciando il missile direttamente dalla nave, il raggio d'azione sarebbe stato limitato alle immediate vicinanze della flotta stessa, senza dunque alcuna possibilità di errore. Quindi apparve ovvia la necessità di posizionare i missili sotto il ventre di un caccia, il quale andando incontro all'oggetto ostile, avrebbe portato lo scontro ancor più lontano dalla flotta. L'F-4 Phantom all'epoca costituiva la spina dorsale dell'Aviazione di Marina, ma non era in grado di caricare il pesante missile Phoenix, perciò venne indetta una gara d'appalto per un velivolo da caccia con ali pieghevoli, cellula robusta per sostenere gli appontaggi, buona visibilità dall'abitacolo per le manovre di atterraggio e decollo su portaerei ed un peso non superiore alle 24 tonnellate. L'azienda aeronautica Grumman, esperta nella produzione di velivoli per la Marina, propose un interessante progetto che entrò in competizione contro quello proposto dalla giovane azienda General Dynamics.
Il Grumman F-14 Tomcat risultò essere la scelta migliore e dopo numerosi test vinse l'appalto per la US NAVY, mentre il progetto bocciato della General Dynamics (denominato TFX: Tactical Fighter X-wing), incontrò l'interesse dell'Esercito, entrando poi in servizio presso l'USAF con il nome di  F-111.